Gianmarco Tognazzi (attore) Velletri (Roma) 8.9.2007
Intervista di Gianfranco Gramola
Un patito del sushi
E’
nato a Roma l’11 ottobre del 1967.
Aveva solo cinque, sei anni quando ha interpretato film come "L'anatra
all'arancia" di Salce, "Non toccate la donna bianca" di Ferreri,
e "Romanzo Popolare"di Monicelli.
Giovanissimo ha trascorso alcune estati come assistente alla regia,
successivamente si è diplomato presso l’Istituto di Stato per la
Cinematografia e la Televisione. Gli è sempre piaciuto avventurarsi e
sperimentarsi in cose nuove nell’ambito dei mestieri del cinema; il gusto
della sfida vissuto con praticità ed al contempo con linearità per raggiungere
lo scopo prefissato. E’ considerato uno che pur non essendo preciso, vuole
curiosare e insinuarsi ovunque ed applica queste "non regole" anche
alla professione d’attore. Comincia la sua carriera accettando tutto quello
che gli viene offerto fino all' ' 89, quando incontra Beatrice Bracco con la
quale studia per tre anni cambiando radicalmente il suo approccio al lavoro e
all'interpretazione dei personaggi. I primi risultati si avvertono con la prima
esperienza teatrale:"Crack" nel ' 90 e successivamente "Macchine
in amore" e "La Valigia di carne", entrambi di F. Bertini, per la
regia di Giulio Base. Nel cinema contemporaneamente, interpreta film a sfondo
sociale come: "Ultrà" di Ricky Tognazzi (Orso d'Argento al Festival
di Berlino nel ' 91), "Crack" di Giulio Base (miglior Opera Prima al
Festival di San Sebastian sempre nel ' 91), "Teste Rasate" di Claudio
Fragasso (Premio della Giuria e del Pubblico al Festival di Villerupt nel ' 93),
"Una Storia Semplice" di Emidio Greco e "Lest" di Giulio
Base, con i quali vince il Premio Grolla d'Oro. Nel 1993 comincia la
collaborazione in "coppia" con Alessandro Gassman in un testo di
Angelo Longoni "Uomini senza Donne" che, con oltre 200 repliche in
tutta Italia, dal 1993 al 1995, vince ben tre premi: Premio speciale Idi per la
Drammaturgia contemporanea, Biglietto d’oro Agis e Premio "Salvo Randone".
Nel 1995 il successo di "Uomini senza Donne" diventa un film con
Alessandro e Gian Marco protagonisti come a teatro. Nel cinema prosegue con i
film: "Tutti gli anni una volta l'anno" di Pier Francesco Lazotti,
"L'estate di Bobby Chalton" di Massimo Guglielmi, "Il cielo è
sempre più blu" di Antonello Grimaldi, "Il Decisionista" di
Mauro Cappelloni. Il 1996, lo vede di nuovo in teatro con "Testimoni",
nuovo testo di Longoni scritto sempre per la coppia Gassman-Tognazzi che è
stato in scena al Ciak di Milano e al Nazionale di Roma e in tournée con
oltre 200 repliche. Ancora lo troviano protagonista nei film: "I
Laureati" (regia L. Pieraccioni), "Lovest" di Giulio Base,
"Facciamo Fiesta" con Alessandro Gassman, di Angelo Longoni, "I
miei più cari amici" di Alessandro Benvenuti, "Stressati" di
Mauro Cappelloni, "Giochi d'equilibrio" di Amedeo Fago.
Nel 1999 ha co-prodotto e interpretato il film Italo-Norvegese "S.O.S."
di suo fratello Thomas Robsham Tognazzi, con Jaqueline Lustijg e l'amichevole
partecipazione di Ricky Menphis. Sempre nel '99 è protagonista di "Prime luci dell'alba" di Lucio Gaudino
con Francesco Giuffrida e Laura Morante: unico film italiano in concorso al
Festival di Berlino 2000. Nel 2000, oltre ad essere impegnato nel musical
"A qualcuno piace caldo", è anche al cinema con il nuovo film e
"A babbo morto", sempre in coppia con Alessandro Gassman, per la regia
di F. Giordani.
Ha
detto:
- Ho
conosciuta la mia fidanzata, dandole una testata e con la scusa di medicarla le
ho dato un bacio. La sua sfortuna è stata che mi ha conosciuto il giorno prima
che mi operassi al ginocchio e mi ha dovuto assistere per due mesi come una
crocerossina. Si chiama Franzine ed è olandese.
- Questa
passione me l’ha sicuramente trasmessa mio padre Ugo. Da piccolo mi portava
sempre sui set e non potevo che rimanere affascinato.
- Il
film “Vacanze in America” di Carlo Vanzina fu un lavoro che mi diede molta
soddisfazione, perché venni chiamato indipendentemente dal nome di mio padre.
- L’unica
cosa a cui aggrapparsi, in questo lavoro, è la passione, perché non è per
niente facile, soprattutto sotto il profilo delle soddisfazioni. E’ un
mestiere, forse privilegiato, ma che a volte crea anche sofferenza. Solo la vera
passione può farti andare avanti.
-
Una sola volta nella mia vita ho detto ad una ragazza che l’avrei sposata, ma
lo feci per sfinimento, perché cessassero le discussioni. Non credo,
comunque che il matrimonio cambi qualcosa nel rapporto a due.
Curiosità
-
Gian Marco è responsabile della Casa di Produzione Video Lucky
- Ha
la fobia per gli insetti.
- Ha
tre fratelli: Rocky (figlio della ballerina inglese Pat O’Hoara), Maria Sole
(figlia, come Gianmarco, di Franca Bettoia) e Thomas Robsham (figlio di
Margreta Robsham).
-
Possiede un gatto, Blu e un cane, Callas, che è un incrocio fra un maltese e un
barboncino.
-
Ogni anno, a Velletri, all’interno della villa Tognazzi, viene organizzato il
T.T.T. (Torneo Tognazzi Torvaianica), un torneo di tennis fra amici, dove il
vincitore riceve come premio, lo Scolapasta d’oro, realizzato dal gioielliere
Ettore Costa.
- Il
papà Ugo, ai tempi della relazione con Margreta Robsham, acquistò un isolotto
norvegese perché portava il nome curioso di Fankul.
Intervista
E’
nella sua bella casa di Velletri. Dà l’impressione di essere serio e un pò
antipatico, ma conoscendolo e parlandogli insieme, ti rendi subito conto che è
un pezzo di pane. Uno che dice pane al pane e vino al vino e che ama il suo
lavoro e stare in compagnia.
Romano
de Roma, Gianmarco?
Nato
a Roma, ma in realtà sono romano di adozione. Io vengo da una famiglia
cremonese. Papà Ugo era di Cremona, però sono cresciuto tra Varese e Velletri,
però le scuole le ho fatte a Roma.
Com’è
il tuo rapporto con Roma?
Adesso
ho un rapporto un po’ distaccato, perché sono tornato a vivere in campagna.
Ho vissuto un po’ di anni a Roma, però poi ho scelto di vivere un po’
fuori, a Velletri, dove c’è anche la casa di mia madre. Sono ritornato dove
ero cresciuto. A Roma prima abitavo in centro, vicino a via Giulia e poi negli
ultimi tempi sono stato sulla Cassia, dove avevo una casa.
Tuo padre oltre che grande attore, era
anche un ottimo cuoco e quindi un buongustaio. Tu, con la cucina, che rapporto
hai?
Ho
un buon rapporto con la cucina in generale, Gianfranco. Come dicevi tu, avendo
un padre mezzo attore e mezzo cuoco, avevo un rapporto continuo e di grande
frequentazione ma non ho delle preferenze nella cucina romana. Diciamo che amo
la cucina in generale. Da ragazzino ero piuttosto grassottello, anche perché
facevo da cavia a mio padre, assaggiando le sue leccornie.
Cosa
ti manca di Roma quando sei via per lavoro?
Sicuramente
gli amici e poi la bellezza di questa città, quando è vuota, non durante il
giorno che purtroppo è completamente nascosta dal traffico e dal casino.
I
romani come li trovi. Quali sono i loro pregi e i loro difetti?
I
romani sono molto espansivi, anche molto calorosi da un certo punto di vista.
Grande simpatia, grande disponibilità e ospitalità, però allo stesso tempo ci
sono dei difetti tipici che riconosco anche in me stesso. Un pregio dei romani
è quello dell’essere perennemente su di giri. I romani sono molto
condizionati da come vivono la città e quindi la città è molto caotica e
allora il romano diventa automaticamente caotico.
Cosa
ti dà più fastidio di Roma, Gianmarco?
Di
Roma, purtroppo, mi danno fastidio tante cose. Il traffico prima di tutto e poi
il fatto che è una città che, in base al grosso traffico che c’è, crea
anche delle alterazioni caratteriali nella gente. E’ più facile innervosirsi
quando si sta a Roma ed è anche impossibile preventivare delle tempistiche,
perché ci sono delle abitudini che tu pensi di trovare tutti i giorni, di
traffico e di tempi che ci metti ad attraversarla, di appuntamenti che hai e
regolarmente vieni o smentito o contraddetto. Tu parti in un orario che pensi
sia più giusto, tipo le partenze intelligenti e invece trovi un casino tre
volte quello che prevedevi. E quindi diventa molto difficile essere precisi a
Roma, perché ci sono delle giornate in cui riesci a fare due cose in tutto il
giorno, ma non di più. Roma è una città molto grande e dovendo saltare il
centro storico, ti obbliga a fare dei giri molto lunghi, per delle strade che
sono perennemente incasinate e quindi o usi il motorino o ti adatti usando la
macchina, sapendo cosa ti aspetta.
Per
un’artista, Roma cosa rappresenta?
Non
solo per un’artista, ma per l’Italia, rappresenta la concentrazione di
tutto, per il semplice motivo che la televisione si fa maggiormente a Roma, il
cinema si fa a Roma, il teatro ha una forte prevalenza su Roma, come partenza.
Nel nostro ambiente, Roma ha una concentrazione molto alta sicuramente. Questo
riguarda anche tanti mestieri che sono limitrofi a quello dell’attore o meglio
a quello dello spettacolo. Credo che a Roma ci siano troppe cose, Roma è troppo
concentrata. Se ci metti la politica e tutti i palazzi del potere, con tutto
quello che la politica muove, poi la chiesa, il Vaticano, il turismo, ecc….
Essendo Roma la capitale d’Italia, e avendo un’urbanistica del tutto
particolare, è una città che concentra tantissimi interessi, per cui è una
città difficile lavorativamente.
Qual
è stata la tua più grande soddisfazione artistica?
Le
soddisfazioni nascono dagli spettacoli teatrali che uno riesce a rappresentare
nel corso della stagione. Ci sono degli spettacoli che non hanno avuto grande
successo in generale, ma che però ti ha dato grande soddisfazione ugualmente.
Il
tuo debutto non so se te lo ricordi, avevi solo 4 – 5 anni, giusto?
Non
me lo ricordo bene, ricordo solo che era come un gioco. Ero con mio padre e mi
sembrava tutto un gioco divertente e che giocavo con mio padre, dove tutti lo
salutavano. Mio padre era una persona che aveva una grande accondiscendenza e un
grande calore dall’altra parte della gente e di chi lavorava con lui, per cui
era più un gioco, era un giocare con lui. Come mestiere, il mio debutto è
stato a 14 anni, dove insieme a mio padre Ugo ho fatto "Il petomane",
per cui ero cresciuto e avevo capito che era un mestiere, non solo un gioco e
poi ho iniziato a praticarlo proprio come mestiere
a 17 anni, cioè quando ho fatto Vacanze in America, con i fratelli
Vanzina e poi le prime cose da solo, cioè staccato dalla figura paterna dove
non era più un gioco ma dove dovevi mettere in ballo te stesso.
Hai
mai pensato ad un nome d’arte, per evitare i paragoni?
Si!
L’ho fatto, c’ho pensato, ma tanto poi avrebbero detto che ero il figlio che
si metteva il nome d’arte per non far vedere che non era il figlio del padre,
per cui sarebbe stato inutile. Ne avrebbero fatto un caso, solo perché non
utilizzavo il mio cognome. Però sinceramente, pensandoci adesso, non vedo perché
dovrei cambiarmi il nome. Solo in Italia c’è il malcostume del dover pensare
necessariamente a scandalizzarsi che il figlio dell’attore faccia l’attore,
quando ci sono altri mestieri dove i figli fanno il lavoro dei padri. Mi
sembrano atteggiamenti da cani, atteggiamenti stupidi, perché questo vale per
gli attori, però vale anche in tutti i settori. Poi se uno ha il valore
individuale, va avanti, se non ce l’ha, cognome o non cognome, cambia lavoro.
A volte succede che uno ha il cognome, ma può essere un problema, invece che un
vantaggio.
Il
complimento più bello che hai ricevuto?
I
complimenti che apprezzo di più sono quelli delle persone che mi stanno vicino
e che mi conoscono meglio e per cui nel momento in cui ti fanno un complimento
è perché riconoscono lo sforzo professionale che hai fatto, al di là di
quello che sei nella vita. E’ chiaro che la condiscendenza di mio padre, nel
momento in cui mi venne a vedere a teatro e mi disse che finalmente potevo
provare a fare questo mestiere, credo sia stata la soddisfazione più grande.
Quando
non lavori, quali sono i tuoi hobby?
Organizzare
il mio lavoro. Perché questo è un lavoro che non arriva da solo. Non è come
una volta che ti chiamano, tu devi fare in modo che se vuoi che le cose
avvengano, deve metterle in piedi tu e devi stimolarle tu. Il tempo libero si
inserisce nel frattempo che tu devi o lavorare oppure organizzare il tuo
prossimo lavoro. Però non è che penso solo al lavoro. Ad esempio a me piace
stare in mezzo alla gente, mi piace documentare in privato la vita, sotto il
profilo documentaristico, per cui ho sei, sette film dove sto, nella vita, con
gli amici. Mi occupo anche di restaurazione di case, nel senso che ho la fortuna
di aver avuto delle case molto belle, che non mi sarei potuto permettere di
comprare come artista individuale, ma che sento il dovere di mantenere al
massimo della loro bellezza, cercando di intervenire, come tutti quanti,
sulla propria casa, facendo lavori di mantenimento, di restauro, di
ristrutturazioni e certe volte anche di semplificazioni di una vita che è
diventata certamente più costosa di tanti anni fa.
Che
rapporto hai con la Fede?
Con
la Fede, intesa come Dio, ho un rapporto forte, mentre con la chiesa e con il
resto, sono sicuramente più guardingo.
Hai
un sassolino nella scarpa che vuoi toglierti?
Non
uno, ma sono tanti, caro Gianfranco. Ma ormai preferisco tenermeli.
A
chi vorresti dire”grazie”?
Un
“grazie” di cuore lo dico a tutti quelli che hanno avuto voglia di lavorare
con me, di collaborare con me, soprattutto di conoscermi, perché credo sia la
maniera migliore poi per lavorare bene. Voglio ringraziare chi mi dà fiducia,
chi ha veramente voglia di conoscermi e che non si basa sulla prima impressione
o ad un giudizio su intuizioni e non alla conoscenza. Io credo di avere la
curiosità di conoscere le persone, non tanto in maniera preconcetta nei
confronti di nessuno.
Hai
un sogno nel cassetto?
E’
come i sassi nelle scarpe. Sono tanti. Come tengo i sassi nelle scarpe, a questo
punto tengo anche i sogni nel cassetto, sperando che questo cassetto venga
aperto da qualcuno.
Progetti?
Continuo
con il teatro, con “Prima Pagina”, anche quest’anno. Ho fatto anche un
film che si chiama “Polvere” che non so quando uscirà. Forse torneremo a
fare qualche cosa insieme con Alessandro Gassman. Adesso vediamo…