Giovanni
Baglioni (musicista)
Roma 8.12.2015
Intervista di Gianfranco Gramola
Un musicista dal talento che toglie il
fiato, un personaggio magnetico che con la sua bravura afferra le note e le
regala al mondo. Un ragazzo dinamico, frizzante, sorprendente, pieno
di entusiasmo per la musica, ossia l’immagine di un’Italia bella e positiva
che vorremmo emergesse sempre. In questa intervista il giovane Baglioni parla
ovviamente di musica, dei suoi prossimi impegni e di Roma, la sua città natale
Giovanni
Baglioni è uno dei nomi più interessanti ed originali nel panorama della
chitarra acustica solista contemporanea. Eccellente
strumentista, fa proprio e padroneggia un vocabolario tecnico rielaborato nelle
sue composizioni originali, capaci di evocare immagini e di creare una intensa
suggestione narrativa corredata di una gestualità che rincorre e armonizza
suoni e colori, che ammalia e rapisce di chiaroscuri emotivi e sonori, e alla
quale ben si adatterebbe, così come lui stesso afferma, una appropriata
“colonna visiva”. Virtuoso
dello strumento, si approccia alla chitarra in maniera assai spettacolare da
vedere e da ascoltare, spaziando dal sapiente utilizzo del tapping,
all’impiego di accordature alternative, agli armonici artificiali,
all’utilizzo percussivo dello strumento, e ad una minuziosa ricerca polifonica
e timbrica. Nato a Roma nel
1982 è figlio unico del cantautore
Claudio Baglioni e di Paola Massari. Ha iniziato a suonare la chitarra nel 1997,
nella band “Chiodofisso”, le cover di Jimi Hendrix, Led Zeppelin e Red Hot
Chili Peppers. A
partire dal 2006 ha iniziato ad esibirsi dal vivo attingendo al repertorio di
importanti esponenti della chitarra acustica solista quali Tommy Emmanuel,
Michael Hedges, Erik Mongrain, Andy Mckee, Justin King, Preston Reed. Ha
studiato approfonditamente con Pino Forastiere, e seguito prestigiosi seminari
di perfezionamento con Tommy Emmanuel e Pier Bensusan, ed ha a sua volta
presieduto a Masterclass e seminari. Ha partecipato ai più importanti festival
italiani di chitarra acustica (Soave, Sarzana, Fiorano) e al Canadian Guitar
Festival. Nel 2009 è stato pubblicato il suo primo disco dal titolo Anima
Meccanica, cui hanno fatto seguito due tour di successo e grande consenso sul
territorio italiano. È stato guest star di Mario Biondi nel disco If, e nel
seguente Spazio Tempo Tour. Ha collaborato con l’esecuzione di un proprio
brano congiuntamente con il chitarrista classico Flavio Sala nel suo disco De la
Buena Onda. Ha ideato e realizzato lo spettacolo-concerto D’istanti non
distanti con la band Vick Frida, per i quali ha prestato una collaborazione nel
disco Thisastro. Ha partecipato come guest star solista e arrangiatore nei
concerti di Claudio Baglioni, ed ha suonato nel suo disco QPGA. Ha contribuito
alla realizzazione e suonato nello spettacolo METAmorfosi, commistione di arti,
musica, recitazione, danza e pittura, con Vinicio Marchioni e Walter Savelli.
Intervista
Sicuramente
la passione per la musica ti è stata trasmessa dai tuoi genitori Claudio e
Paola. E la scelta dello strumento? Perché la chitarra. Cosa ti affascina di
questo strumento?
Non
so quanto sia stata una scelta casuale e quanto dettata dalla percezione magari
inconscia di un’affinità. Ricordo solo che da bambino venni incoraggiato a
prendere lezioni proprio per questo strumento, e ciò farebbe propendere per la
tesi “caso”; ma anche che sempre da bambino possedevo una piccola batteria e
in casa c’era un piano, e questi strumenti non hanno attratto particolarmente
la mia curiosità, come invece ha fatto nel tempo la chitarra.
Tu
hai un modo spettacolare di suonare la chitarra. Perché questa scelta?
Perché
l’incontro con questa musica, da spettatore, è stato folgorante. E la
tentazione di esserne anche protagonista troppo forte da resistere.
Chi
sono stati i tuoi maestri?
Tommy
Emmanuel è il mio primo amore chitarristico. Pino Forastiere è stato il
maestro che più mi ha formato.
Come
ricordi il tuo debutto in pubblico?
Non
c’è stato un vero e proprio debutto, sono passato gradualmente
dall’esibizione in ambiente amicale a quella di fronte a un pubblico
sconosciuto, e altrettanto gradualmente dalle partecipazioni come ospite a miei
interi concerti. Un aneddoto divertente riguarda però la prima volta che
probabilmente avevo il compito di intrattenere da solo un pubblico per un’ora
intera su un palco. Avevo 23 anni. Ero andato una settimana in vacanza nel
paradiso maldiviano e non so bene come mi sono trovato a ricevere, e accettare,
la proposta di rimanere per 3 mesi come addetto alle attività veliche e
sportive in generale. Dopo qualche settimana c’è stato un intoppo nelle
rotazioni degli spettacoli serali offerti agli ospiti e mi è stato chiesto se
potessi garantire un’ora di intrattenimento suonando visto che avevo con me la
fidata chitarra. Al tempo studiavo già questo modo affascinante di suonare
l’acustica da solista ma mi sentivo ad anni luce dall’esser pronto ad
esibirmi, eppure accettai. Ebbene divenne un appuntamento settimanale fisso. E
la cosa più divertente erano i commenti delle persone dopo che era una
settimana che mi vedevano “solo” armeggiare con rande, drizze, scotte, canoe
e pagaie. Così ho preso coscienza che non era poi così un miraggio suonare di
fronte non solo ad amici e ho cominciato a esibirmi in pubblico con regolarità.
Un
cognome così importante nell’ambito musicale è un vantaggio o viceversa?
È
un po’ tutti e due. C’è un’attenzione maggiore che ti riguarda, ma spesso
è un’attenzione spuria.
Qual
è stata la tua più grande soddisfazione artistica?
Non
individuerei un momento in particolare. Piuttosto le volte che ho avuto la
sensazione di aver profondamente catturato l’attenzione del pubblico e averlo
fatto calare veramente nella mia musica e nelle sue suggestioni; e le volte (non
tantissime) che ho potuto dire a me stesso “stasera ho suonato proprio
bene”.
Hai
mai fatto delle scelte artistiche sbagliate?
Le
poche volte che sono andato in televisione ho avuto la sensazione di essere alla
mercé dei suoi meccanismi, dei suoi tempi, che spesso confliggono molto con
quelli dell’arte e della musica.
Giovanni Baglioni con mamma Paola Massari
Il
complimento più bello che hai ricevuto?
“Mi
ha fatto vivere un’ora di paradiso” e “Si vede che questo ragazzo è pieno
di mondi dentro di sé”, non direttamente confidati a me, il ché li rende
ancor più preziosi
Quante
ore al giorno dedichi alla musica, alle prove?
È
molto variabile. Se lo studio di qualcosa di nuovo mi sta catturando
particolarmente, o un concerto si sta avvicinando, allora per appassionato
coinvolgimento o responsabile senso del dovere mi dedico di più allo strumento.
Altrimenti posso anche trascorrere tranquillamente giornate in cui mi tengo
cautamente alla larga.
L’ambiente
che ti circonda influisce molto sulla tua creatività?
L’ambiente
sicuramente può presentare più o meno stimoli e avere dunque il suo peso.
Penso che però sia preponderante il ruolo dell’atteggiamento, dello sguardo
su ciò che ci circonda.
Hai
mai lavorato per beneficenza, per solidarietà?
Mi
è capitato, anche se continuo a guardare diciamo con attenzione e cautela al
mondo della beneficenza; che a volte è un nome sfruttato da chi vuole solo
farne un lavoro per sé.
Qual
è il tuo sogno artistico? (Un sogno nel cassetto)
Trovare
il bandolo della matassa di questo benedetto nuovo disco che per una miriade di
(non) motivi ancora non ho pubblicato.
I
tuoi prossimi impegni “live” a Roma?
Per chi vuole sentirmi dal vivo i miei prossimi
appuntamenti live a Roma sono: 11 dicembre al Crossroads ospite ad una serata
con Walter Savelli, il 12 dicembre suonerò
al Parco della Musica nella sala Sinopoli alla serata di beneficenza "Natale
è qui", il 26 dicembre ho un concerto al Cotton Club e il 29 gennaio alla
Stazione Birra sempre in concerto.
Altri
progetti?
Avere
tanti progetti.
A
chi volesse avvicinarsi alla musica, che consigli daresti?
Di
non vederla come il mezzo per ottenere qualcos’altro, ma come il fine. Di
cercare buoni maestri e buoni compagni.
Com’è
il tuo rapporto con la Fede? Cosa ne pensi del nuovo Papa?
Col
passare del tempo la mia inclinazione razionale, già naturalmente molto
presente, si è sviluppata ulteriormente, e non è facile affidarsi a qualcosa
di indimostrabile. D’altro canto, il calore della fede è tutt’altro che
intangibile, così come lo è il freddo e l’aridità della sua assenza. Per
quanto riguarda il Papa penso che mi piace. Mi piace che sia così comunicativo
e spontaneamente empatico. Mi piace di meno il fatto che piaccia così tanto
solo perché è “così”. Come se un Papa come quello precedente, grande
pensatore e teologo, protagonista di un gesto di umiltà senza precedenti, fosse
da buttare solo perché non aveva le doti che tutti riconoscono a questo.
Giovanni Baglioni con papà Claudio
Ne
approfitto per parlare un po’ di Roma. Com’è il tuo rapporto con Roma?
Forse
è un po’ peggiorato, questa estate ho passato un mese e mezzo in montagna, e
mi è sembrato di rigenerarmi rispetto alla mia vita cittadina. Non sono di
certo un sociologo, ma ho l’impressione che un’elevata densità di persone
le renda più antagoniste, mentre la rarefazione più solidali.
Come
vivi la città in questo periodo di minacce? Sono cambiate le tue abitudini?
No,
cerco di essere il più razionale possibile, per quanto sia possibile. Non
voglio assolutamente offendere il dolore che ha provocato o sminuire la tragedia
che ad esempio l’attentato al Bataclan di Parigi ha rappresentato. Ma quanti
attentati ci sono stati nella storia a fronte del numero di spettacoli nei
teatri. È tristemente molto più probabile morire al volante della propria
macchina durante un viaggio. Ma tutti guidiamo tutto sommato tranquilli,
auspicabilmente con la giusta cautela.
In
quale zona di Roma hai passato l’infanzia e come te la ricordi?
Al
Nuovo Salario. Ho tante immagini di quei luoghi, conservate più nei sogni che
nei ricordi.
Com’è
il tuo rapporto con la cucina romana? Cosa ti piace e viceversa?
Interiora,
coratelle, trippe, rognoni, fegati, pajate, m’hanno sempre disgustato un
po’, così come l’abbacchio (diffidenza ereditata da mio padre); poi avendo
attuato una scelta vegetariana non mi pongo più il problema. Non mi piace la
cacio e pepe, mentre alla carbonara sono molto affezionato, e con il seitan
mantiene gran parte del suo gusto. I fritti in pastella mi tentano molto, ma
smaltirli non è cosa facilissima. Sì ai carciofi alla giudia, no a cicoria e
puntarelle. Sì al cornetto con la glassa, no al maritozzo. Non so se può
considerarsi romana, ma apprezzo molto la capillare diffusione delle pizzerie a
taglio, dove però non prendo mai i supplì.
Frequenti
una trattoria in particolare?
Non
la frequento da un po’ ma sono affezionato fin da bambino alla trattoria “Il
Grottino” sulla Tiberina, ricordando le sensazionali bruschette con pomodoro e
olio eccezionali e le passeggiate dopo pranzo a cogliere ciclamini e sbirciare
le cave di tufo circostanti.
La
tua Roma in tre posti?
Il
Lungotevere con i suoi platani monumentali e la luce calda e un po’ malinconica
dei suoi lampioni. Il Grande Raccordo Anulare, raccontato in maniera
visionaria da Renato Nicolini in “Tanti futuri possibili”. Lo
Zodiaco e il parco circostante.
Cosa
ti manca di Roma quando sei via per lavoro?
Casa.
Nel senso di “home”, non “house”.
Quali
sono, secondo te, i pregi e difetti dei romani?
Quelli
da cliché, auto ironici e dall’umorismo benevolo, spacconi e sparoni.
Conoscitori del “miglior tutto” della propria città (con picchi su
gelato e caffè) e narratori delle gesta epiche proprie o di qualche amico “matto
scocciato”.
Cosa
ti dà più fastidio di Roma?
La
mobilità; o dovrei piuttosto dire “l’immobilità”. E la
cialtronaggine diffusa.
Esiste
una Roma da buttare?
Si!
Quella della maleducazione e del menefreghismo.
Per
un’artista Roma cosa rappresenta?
Un’opportunità
per molti, ma per molti di più un’illusione.