Luca
Rigoni (giornalista) Roma 4.3.2014
Intervista di Gianfranco Gramola
Un
bravo giornalista con la valigia in mano. Ha girato mezzo mondo: America,
Somalia, Afghanistan, Inghilterra e ora in Ucraina per seguire e
raccontare la crisi. Cosa gli manca del
suo Trentino? Piazza Duomo, piazza Fiera e anche le montagne innevate. “Lavoro
talmente tanto che non riesco a fare una bella settimana bianca”
Il
giornalista Luca Rigoni è nato a Roma il 7 gennaio del 1964. La
sua carriera giornalistica inizia nel 1988, dopo la laurea con lode
all'Università di Bologna in Lettere e Filosofia, con una tesi in Storia del
Cinema. Ha lavorato alla Rai Corporation di New York dal 1989 alla fine del
1991. Per il TG5 di Mediaset, dove lavora dalla fondazione assunto da Enrico
Mentana, ha seguito come inviato i principali avvenimenti internazionali: cinque
elezioni presidenziali americane (nel 2004 era a Washington nel quartier
generale di Gorge W. Bush, nel 2008 a Chicago in quello di Baraci Obama), due
Midterm (2006 e 2010), numerosi vertici internazionali, incluso il G8 di Genova
nel 2001 e quello dell'Aquila nel 2009, il dopo 11 settembre 2001 da Washington,
l’uragano Katrina da New Orleans. È stato in Somalia e in Afghanistan, a
Londra nel 2005 e nel 2006 per gli attentati e l'allarme terrorismo, e molte
volte in Medio Oriente. Ha intervistato, fra gli altri, gli ex segretari di
Stato americani Henry Kissinger, Colin Powell e Condoleezza Rice, l'ex premier
israeliano Ehud Olmert, il premier turco Erdogan. Il 2 aprile 2005, in uno
speciale del TG5, ha dovuto annunciare in diretta la morte di Giovanni Paolo II.
Ha condotto il TG5 della notte e l'edizione del pomeriggio. In seguito, con
l'approdo alla direzione del TG5 di Clemente J. Mimun, ha condotto l'edizione
delle 13 in coppia con Elena Guarnieri o Monica Gasparini, fino al 1º ottobre
2009. Dopo essere stato caporedattore della redazione Esteri del TG5, nel
novembre 2011 passa a Tgcom 24.
Ha
detto:
- In
tv devi saper valorizzare le immagini, sulla carta stampata devi saper scrivere
bene. Il giornalista della carta stampata spesso può raccontare senza avere per
forza le immagini, mentre la tv vive di immagini e ti costringe sempre a stare
in prima linea o a non poter realizzare un servizio. Anche perché, senza
immagini che tv sarebbe?.
- Non
sono bravo a dare consigli, ma avverto tutti che, solo rispetto a pochi anni fa,
questo mestiere è cambiato radicalmente. Non so se, come ragazzo, deciderei di
intraprendere questa carriera, anche perché oggi il lavoro si fa sempre più
difficile, è sempre più faticoso, per un ragazzo, trovare spazi e,
soprattutto, il posto di lavoro.
- Io
volevo fare il cinema, non volevo fare il giornalista di cinema. Ho fatto il
giornalista di cultura e spettacolo – ho iniziato presto, nel primo anno
dell’università - perché mi sarebbe piaciuto molto occuparmi di cinema e,
venendo dalla provincia profonda del Nord, cioè da Trento, la via più semplice
mi sembrava farmi accreditare ai festival di cinema per entrare in contatto con
quell’ambiente.
-
Sono
approdato al Tg5 nel 1992, quando ancora non c’erano scrivanie per
tutti.
Curiosità
-
È
giornalista professionista dal 15 gennaio 1991. Anche il papà di Luca, Mario
Rigoni, è giornalista.
- Si
è laureato a Bologna con una tesi sulla storia del cinema.
Intervista
Ieri
e oggi sta a Roma, domani parte per Bruxelles, quattro giorni fa era a Kiev, in
Ucraina… Luca Rigoni è un giornalista molto pignolo e ama
la precisione. Le sue qualità professionali sono la chiarezza e la sintesi.
Mi
racconti il tuo percorso professionale?
Ho
iniziato alla fine del Liceo, all’inizio dell’università, sono andato a
Lettere a Bologna, all’epoca. All’inizio il mio interesse era soprattutto
per il cinema e la letteratura. Dopo di che la mia passione si è spostata
progressivamente sugli esteri, la politica estera al quale sono tutt’ora. Ho
iniziato nelle collaborazioni sulla carta stampata quando ho finito il Liceo,
dove mi sono diplomato al Prati. Scrivevo sull’Adige, facendo il collaboratore
non retribuito. Poi ho collaborato con altre testate, poi il Giornalino dello
Spettacolo, il Mattino di Napoli, ecc…Diciamo che portavo avanti il
giornalismo insieme al percorso universitario accademico. Poi ho optato
totalmente per il giornalismo e sono andato a vivere a New York. Tra il 1989 e
la fine del 1991 ho lavorato alla Rai Corporation a New York e poi da lì,
grazie ad Enrico Mentana sono entrato nel TG5 e poi via via mi sono sempre
occupato di Esteri. Ora ho lasciato il TG5 per fare il Tgcom 24, le News di
Mediaset e poi faccio dei servizi per tutti i telegiornali Mediaset.
Quali
sono stati i tuoi maestri, quelli a cui vorresti dire grazie?
Sono
tanti, ma tanti. Della carta stampata conosco molto bene e stimo, anche per
ragioni personali, Eugenio Scalari. Diciamo che per lui ho un affetto non solo
professionale ma anche personale. Poi stimo altri giornalisti, anche di altri
settori. Naturalmente devo moltissimo a Enrico Mentana, poi tutti i direttori
che ho avuto successivamente, come Carlo Rossella, Clemente Mimun, ecc… E poi
come carta stampata ho avuto altri modelli, altri maestri. Uno fra tutti Indro
Montanelli ovviamente. Quando ero ragazzo seguivo molto in tv il giornalismo di
approfondimento fatto e curato da
Sergio Zavoli. Questo come universo giornalistico.
Quali sono le qualità di un buon
giornalista?
Chiarezza,
sintesi e partecipazione.
La tua ossessione professionale?
La
precisione.
Qual è il tuo motto?
Rincorrere
la vita.
Fra colleghi c’è più rivalità,
competizione o complicità?
Competizione.
Le
tue radici trentine quanto contano nella tua professione?
Io
sono nato a Roma, non a Trento, ma questo per una casualità dei miei genitori.
Però sono cresciuto a Trento e quindi inevitabilmente
gli anni formativi fino alla maturità classica li ho fatti a Trento. E allora
c’è questo printing che non si può dimenticare. Poi sono andato via, sono
andato a fare l’Università a Bologna e dopo sono andato a vivere per tre anni
a New York. Però c’è una formazione di base anche caratteriale, una sorta di
“puritanesimo”, non religioso ma culturale che il Trentino mi lascia come
printing. Questo almeno è quello che spero, senza presunzione, cioè di rigore,
di puntualità, di metodo e di precisione.
Ho
letto che, da inviato, hai conosciuto Ilaria Alpi.
Si!
Ci siamo incrociati a Mogadiscio. Lei era inviata del Tg3. Seguiva la guerra
civile somala. Poi lei è morta il 20 marzo del 1994. E’ stata uccisa a
Mogadiscio assieme all’operatore Miran Hrovatin.
Delle
tue interviste “americane”, quale fra tutte ti ha emozionato maggiormente?
Tra
i vari americani che ho intervistato, e sono stati parecchi, Condoleezza Rise,
un personaggio un po’ dimenticato ultimamente. Era segretaria di stato
americano all’epoca di Bush ed era la prima segretaria di stato donna e di
colore e ricordo che è stata una lunga intervista. L’ho trovata una persona
molto carina e affettuosa. Mi è rimasta molto impressa. Ho intervistato anche
Colin Powell, bravissimo ma non mi ha emozionato più di tanto.
Il 2 aprile 2005 hai annunciato in diretta
la morte di papa Giovanni Paolo II. Come hai vissuto questa esperienza?
Io
non l’ho conosciuto papa Woityla. La diretta l’ho vissuta con grande
emozione, però per fortuna essendo impegnato sul fronte del lavoro, la
professione mi è servita anche
come scudo, di fronte alle grandi emozioni. Stavo lavorando quindi innanzitutto
la notizia.
Hai
fatto anche l’inviato nelle terre martoriate dalle guerre. Hai mai visto la
morte da vicino?
Ho
visto la morte non vicina a me, ma vicina agli altri. Ho visto un collega
fotografo che è morto in Medio Oriente falciato da una mitragliata che
proveniva da un carro armato israeliano, nei territori palestinesi. Lo ricordo
all’ospedale, cadavere. Ho visto la morte negli occhi degli altri.
Hai intenzione di scrivere un libro dove
racconti le tue interviste “americane” e da inviato episodi significativi
avvenuti in Somalia e in Afghanistan?
Ci
sono alcuni grandi giornalisti, grandi maestri, fra questi Bernardo Valli di
Repubblica, che dicono che i giornalisti non scrivono libri. A dire la verità
io non c’ho mai pensato ad un libro. Magari più avanti, avendo accumulato
ancora più cose, più esperienze, lo farò. A dire la verità sono anche un
po’ pigro, perché lavoro tantissimo e quando ho un giorno libero, raramente,
me lo voglio godere.
Cosa
ne pensi della crisi dell’Ucraina?
Sono
appena tornato da Kiev. L’ho vista e vissuta di prima persona questa crisi.
Penso che tutta la popolazione ucraina per quanto è composita, sia come credo
politico, ideologico, appartenenza culturale e quant’altro, abbia diritto a
ottenere quello che chiede, cioè una maggiore vicinanza e progressivamente una
adesione alla Comunità Europea. Io credi che questo sia giusto. Detto questo
trovo che fino ad oggi (4 marzo 2014, ndr.) chi si è mosso meglio sullo
scenario ucraino è stato Wladimir Putin, il presidente russo, perché ha saputo
veramente muoversi come su una scacchiera, cioè occupare senza sparare un
colpo. La Crimea, oggi ha fatto ritirare le truppe. E’ stato bravo nel gestire
la situazione. Invece l’occidente ha parlato molto forte, a voce alta ma finora non ha fatto assolutamente nulla
e credo che la crisi ucraina avrà ricadute molto pesanti, molto forti, comunque
vada a finire, nei rapporti tra occidente e Russia nei prossimi anni. Avrà
anche ricadute economiche perché dopo bisognerà salvare l’Ucraina dal
baratro finanziario e quindi dovrà occuparsene l’Unione Europea. Dovremo
mettere mano al portafoglio per salvare quella parte di Ucraina che è
filo-europea. E quella sarà una questione prevalentemente
economico-finanziaria. La parte russa è stata gestita meravigliosamente dal
punto di vista strategico da Putin. Non do giudizi morali.
Luca Rigoni con la collega Cesara Buonamici
Mi
racconti la tua infanzia trentina?
Io
sono cresciuti nel centro storico di Trento. Ho fatto le elementari, le scuole
medie e le superiori. Ho tantissimi ricordi, tantissimi amici che ancora sono a
Trento e li ritrovo quando vengo su a Natale e alle feste comandate, a trovare i
miei genitori che vivono ancora a Trento. Entrare nei dettagli non credo sia
interessante, ma ho assorbito la trentinità e questo è stato formativo per la
mia cultura. Poi quando sono andato a studiare a Bologna certi legami si sono un
po’ allentati.
Un
angolo del cuore a Trento?
Dal
punto di vista geografico sicuramente piazza Duomo e piazza Fiera. Certe
mattinate di luce splendente ammiravo le montagne del Bondone e anche il Calisio.
Da casa mia, all’ultimo piano, in centro, vedo il Calisio la mattina e quella
vista mi rincuora. E’ un ricordo che mi da anche calore.
Cosa ti manca di Trento?
Mi
manca lo sci. Una volta andavo sempre a sciare nei weekend. Per questioni di
lavoro sono due anni che non riesco a farmi la settimana bianca. Prima mi
chiedevi dei posti trentini a cui mi sento legato. Non sono solo piazza Duomo o
piazza Fiera, ma anche le montagne innevate. Ricordo a memoria le piste di neve
(potrei scendere con gli sci a occhi chiusi), i rifugi che nel frattempo sono
cambiati un po’. Ho molta nostalgia di queste cose. Da ragazzo sciavo sul
Bondone, poi più avanti, insieme a parenti e amici andavo a Marilleva, in val
di Sole. Negli ultimi anni mi sono spostato in Alto Adige, esattamente in val
Badia, dove mi trovo benissimo come albergo, piste, cibo e cortesia. Ogni tanto
vado anche a Vigo di Fassa.
La
cucina trentina ti manca a Roma?
Cerco
malamente di riprodurla a Roma dove vivo e anche all’estero quando per lavoro
devo starci per diverse settimane. Un po’ di cose le faccio, non alla
perfezione ma le faccio. Cerco comunque di assaporarla quando torno nella mia
città.
Mi
dicevi che sei nato a Roma. Tuo padre era nella capitale per lavoro?
Si!
Facevo il giornalista anche lui, alla Rai.
Adesso
vivi a Roma. Com’è il tuo rapporto con la Città Eterna?
Un
rapporto di amore e odio. Io ho
vissuto New York, ho visto Los Angeles e tante altre città. Adesso passo tanto
tempo a Milano per questioni di lavoro legati a Tgcom 24, cioè quando conduco
le trasmissioni dallo studio. Quindi conosco molto bene anche Milano, ma Roma è
la città più bella del mondo. Forse è stupido dirlo, anche perché ha vinto
l’Oscar ma Roma è descritta molto bene nel film “La grande bellezza”. Però
il prezzo de “La grande bellezza” lo paghi con tanti disguidi, tanti
problemi, il caos, la sporcizia, le buche, un amministrazione pubblica che
funziona male e a fatica. Però al di là di questo Roma è una città
meravigliosa e ha un clima fantastico.
C’è
un angolo romano a cui sei affezionato?
Roma
ha tanti angolini a cui sono affezionato. A me piace moltissimo piazza del
Popolo, più paradossalmente di altri posti più belli come piazza Farnese o
piazza Campo de’ Fiori che è molto folcloristica.
Con
la cucina romana ti trovi bene?
Ne
mangio poca. La cucina romana a Roma ormai è per pochi affezionati.
In
quali zone di Roma hai abitato?
Ho
sempre abitato in centro. Attualmente vivo vicino al palazzo delle Esposizioni e
prima ho vissuto nella zona limitrofa al Colosseo.
Cosa
ne pensi del sindaco Marino che ha reso pedonale via dei Fori Imperiali?
Ha
creato dei problemi di viabilità a tutti. Anche a me, perché ogni giorno per
andare al lavoro percorrevo in macchina la strada dei Fori Imperiali. La strada
è stata chiusa alle auto private, perché gli autobus e i taxi possono
circolare tranquillamente. Inoltre è
un progetto a metà strada perché se si vuole pedonalizzare i Fori, va bene per
i romani e anche per i turisti, però bisogna creare percorsi alternativi
validi, perché quelli attuali non sono adeguati. C’è caos e ci sono code
dappertutto. Comunque rispetto alla bellezza di Roma “tutto è superabile”.