Lucia Ronchetti (compositrice) Roma 21.11.2017
Intervista di Gianfranco
Gramola
"Per me comporre è
una ragione di vita, non saprei cosa fare del mio tempo e della mia energia se
non mi aspettasse sempre una pagina bianca"
La biografia e tutte le opere sono nel suo
sito ufficiale www.luciaronchetti.com
Lucia Ronchetti è
nata a Roma nel 1963.
Nel
1987 si diploma in composizione ed in musica elettronica presso il Conservatorio
di S. Cecilia e si laurea in Lettere e Filosofia presso l'Università La
Sapienza di Roma. A Parigi ottiene il D.E.A. in Estetica presso la Sorbonne di
Parigi e nel 1999 discute la tesi di dottorato in musicologia presso l'Ecole
Pratique des Hautes Etudes presso la
Sorbona, sotto la direzione di François Lesure. Nel 1995-96 segue il corso
annuale dell'IRCAM, nel
1996-97 ottiene la Residenza alla Cité Internationale des Arts a Parigi e la
Borsa Erato del Ministero degli Esteri per Parigi. Nel 1999 è Compositore in
residenza all'Akademie Schloss Solitude di Stoccarda, nel 2003 alla Mac Dowell
Colony di Peterbourough di Boston, nel 2003 al Forum Neues Musiktheater della
Staatsoper di Stuttgart. Nel 2005 vince il premio Fulbright quale Visiting
Scolars alla Columbia University di New York. Nel 2005-2006 risiede a Berlino,
grazie al premio della DAAD. Nel 2007 è compositore in residenza presso la
Corporation of Yaddo di New York. Importanti per la sua formazione compositiva
gli studi con Salvatore Sciarrino, Gerard Grisey e Tristan Murail.
Intervista
Quando
ti sei avvicinata alla musica?
Il mio primo contatto con la musica è
avvenuto grazie ad una coppia di anziani vicini, Mario e Helen Bevilacqua. Lui
era stato compositore, violinista e direttore di varie orchestrine di
avanspettacolo, poi si era ridotto in rovina ed era diventato orologiaio. La sua
casa, nella periferia di Roma, era piena di vecchie partiture, frammenti di
orologi rotti e strumenti musicali. Per me e le mie sorelle era un luogo
incantato di sperimentazione e scoperta e abbiamo cominciato prestissimo a
prendere lezioni da lui. Erano lezioni informali di strumenti diversi, canto,
scrittura, solfeggio e storia della musica, impartite per amicizia con molta
confusione e nessun metodo, ma sono state per me un laboratorio di ascolto e di
pratica, un' entrata nel mondo sonoro parallela alla crescita.
Ci
sono trascorsi musicali nella tua famiglia?
No, nessun musicista.
Chi
per primo ha scoperto il tuo talento?
Non credo di avere talento, solo una
incredibile forza di volontà. Quando a 16 anni ho ascoltato "Aura" di
Bruno Maderna alla radio, ho deciso che avrei intrapreso quella strada e ho
cercato un insegnante di conservatorio che potesse darmi le prime lezioni per
poi entrare al corso di composizione di Santa Cecilia.
Qual
è stato il ruolo della tua famiglia di origine nel corso della tua carriera?
Nessuno, si sono completamente disinteressati
del mio lavoro e della sua evoluzione. L'unica persona su cui ho potuto sempre
contare è una delle mie quattro sorelle, Paola Ronchetti, cantante, musicologa,
studiosa di musica antica e insegnante di italiano e latino. Per me è
stata ed è una compagna di strada e anche una guida per alcuni dei miei
progetti.
Quali
artisti (compositori) hanno avuto effetto (hanno influito) su di te?
A parte Bruno Maderna che non ho potuto
conoscere, sicuramente Sylvano Bussotti e Salvatore Sciarrino. Li ho avuti
entrambi come maestri in corsi di composizione che tenevano a Fiesole e a Città
di Castello. Avevo 21 anni e stavo studiando in un ambiente molto ristretto e
provinciale come quello del conservatorio romano. L'incontro con questi due
grandissimi artisti e liberi pensatori è stata una illuminazione, una
rivelazione di quanti e quali aspetti possano esistere all'interno di un
immaginario sonoro e anche del tortuoso percorso della scrittura musicale.
Cosa
ti auguri di suscitare in chi ascolta le tue opere?
Spero sempre che il pubblico viva l'emozione
che io sento mentre compongo, immaginando la realizzazione sonora della mia
partitura in fieri, solo che non sempre accade, anzi raramente. I
miei sogni sonori sono ancora ben lontani dall'essere codificati nelle mie
partiture!
Perché
le tue opere sono più conosciute all’estero che in Italia?
In Italia è difficile lavorare per tutti i
compositori e ancora di più per le compositrici. In Germania ho avuto la
possibilità di avere tante produzioni di teatro musicale, sia nell'ambito di
festival che nelle grandi istituzioni operistiche e ho potuto maturare,
acquisire una esperienza che ora mi fa sentire più sicura. In Italia non
c'è attenzione alla produzione contemporanea e a volte arrivano grandi
occasioni, ma manca la continuità produttiva che permette ai compositori di
altri paesi di realizzare le proprie intenzioni, di conoscere i propri limiti e
le proprie potenzialità
Per
un compositore, quando arriva l’ispirazione?
Per me il lavoro compositivo è un continuum,
lavoro tutti i giorni dalla mattina prestissimo al primo pomeriggio. Non c'è
"ispirazione", è piuttosto come scavare una miniera con costanza e
disciplina per trovare poi forse delle pietre molto preziose.
L’ambiente
che ti circonda può essere una tua fonte di ispirazione?
L'ambiente è importante per lavorare, non
per essere ispirati, io ho bisogno di silenzio e isolamento ma anche di sapere
che appena fuori della mia stanza la vita cittadina è attiva, profonda e
complessa e le persone interagiscono e si evolvono. Mentre lavoro immagino
a volte situazioni ambientali immaginarie o irraggiungibili, che sicuramente mi
sostengono e rendono fertili le lunghe ore di lavoro al tavolino, ma non ho mai
desiderato di spostarmi veramente.
Comporre
musica può essere anche uno sfogo o una esigenza?
Per me comporre è una ragione di vita, non
saprei cosa fare del mio tempo e della mia energia se non mi aspettasse sempre
una pagina bianca. Ormai lavoro costantemente da talmente tanti anni che sarebbe
impossibile farne a meno. So che sarà sempre così, anche se la mia musica non
venisse più richiesta ed eseguita, io continuerei a lavorare per me, come ho
sempre fatto fino a prima di aver cominciato ad essere apprezzata.
Cos’hai
sacrificato per arrivare al successo?
Un compositore di musica contemporanea
scritta difficilmente arriva al successo come lo intendiamo oggi, io posso solo
dire che ho tanti progetti nel mio futuro richiesti da istituzioni
importanti, cosa che mi rende felice e orgogliosa. Il sacrificio più grande è
sicuramente quello di viaggiare sempre ed avere produzioni sempre dove non
abito, ma è un sacrificio ampiamente ripagato dalla qualità delle produzioni e
dalla preparazione e talento degli interpreti con cui collaboro.
Una
tua ossessione professionale?
Poter fare in Italia quello che sono riuscita
a fare in Germania, presentare qui le mie opere che nessuno ha mai potuto
ascoltare.
Qual
è stata la tua più grande soddisfazione?
Nel 2015 ho composto un'opera per il
NationalTheater di Mannheim, su testo di Ermanno Cavazzoni, regia di Achim
Freyer e drammaturgia di Elena Garcia-Fernandez, commissionatami da Klaus Peter
Kehr e quest'opera è stata giudicata da una giuria internazionale di
giornalisti curata da Opernwelt, la miglior produzione operistica della
stagione in Germania.
L’opera
che hai scritto a cui sei più legata?
"Inedia prodigiosa" un'opera corale
su libretto di Guido Barbieri, per 150 voci, sia professionali che dilettanti,
eseguita dai cori dell'Accademia di Santa Cecilia e diretta da Ciro Visco. E'
stata commissionata dal Teatro Massimo a Palermo e co-prodotta da Romaeuropa e
dall'Accademia di Santa Cecilia e sarà ripresa il 21 gennaio 2018 a Santa
Cecilia. Quest'opera è un prodotto italiano, la prima grande occasione che
ho avuto di presentarmi a Roma quale compositore ed è stata l'occasione per
capire che, a parità di professionalità, gli interpreti italiani possono
capire il mio lavoro molto meglio di chiunque altro!
Hai
avuto delle delusione professionali?
Troppe! Forse la peggiore di tutte con il San
Carlo di Napoli dove una sovrintendente donna, Rosanna Purchia, mi ha
commissionato un lavoro monumentale, che ho realizzato in collaborazione con
Raffaele Grimaldi, e che non è stato mai eseguito e mai pagato e senza nemmeno
un messaggio di scuse. E’ l’unico mio lavoro che nel mio catalogo rimane “unperformed”.
Meglio
la critica italiana o estera?
In Italia gli eventi importanti di musica
contemporanea sono così rari che difficilmente i critici ne fanno recensioni
negative. E' un peccato, è come vivere in un mondo artificiale dove non ci si
relaziona con una società competente e desiderosa del nuovo. In altri paesi i
critici possono fare il loro lavoro con estrema libertà e professionalità.
Hai
dei rimpianti?
Sicuramente quello di aver aspettato tanto a
partire.
Un
domani come vorresti essere ricordata?
Per quello che sono, più un lavoratore
ostinato e monastico che un artista.
Hai
un progetto, un sogno artistico che vorresti realizzare?
Si!
Tu
sei romana. Com’è il tuo rapporto con Roma?
Quando sono lontana riesco a vederne i lati
più positivi, questo mix infernale di pericolo attuale, instabilità e
pre-esistenza storica che non rassicura ma ti anima. Quando torno però mi
innervosisco subito, il traffico, l'inquinamento acustico e visivo, lo stato di
abbandono delle strade e dei marciapiedi...
In
quale zona hai abitato?
Sono nata in una bruttissima periferia vicino
alla Città militare Cecchignola e conservo dei ricordi di straniante solitudine
e immobilità di questo mondo piatto e monotono da cui sembrava non si potesse
uscire. Ho però poi vissuto degli anni magnifici a Via dei Salumi, nella parte
di Trastevere vicina all'Isola Tiberina, dietro alla chiesa di San Benedetto in
Priscinula. Dalla mia casa ho ascoltato tutte le mattine la campana più antica
della Roma medioevale e ho incontrato spesso Francesco Pennisi, compositore
siciliano straordinario e coltissimo che abitava nel palazzo accanto.
Cosa
ti manca di Roma quando sei all’estero per lavoro?
Mi mancano molto mio marito e i miei figli
che sono a Roma, e quindi con loro quella parte della città che abitano e
percorrono, ma non posso dire che mi manchi mai veramente la città.
C’è
un angolo di Roma a cui sei particolarmente legata? Se si, perché?
Sicuramente Piazza Mattei dove lavorava e
abitava Toti Scialoja, che andavo regolarmente a trovare prima che morisse. Lo
considero un mio maestro, oltre che un carissimo amico del passato, anche se
abbiamo sempre soprattutto parlato di letteratura.
A
parte il traffico, cosa ti dà più fastidio di Roma (esiste una Roma da
buttare?)
Penso che il dialetto romano sia uno dei più
infelici e ineleganti tra quelli italiani, e in questo senso mi da fastidio
essere romana e essere riconosciuta come tale anche quando parlo in francese o
tedesco! C'è un accento radicato, ineliminabile, che rende ogni espressione
tragicomica e rude, seppur teatrale.
Per
un’artista Roma cosa rappresenta?
Un sogno perduto, il dolore di essere
arrivato in qualche modo troppo tardi.