Mauro Corona (scrittore – scultore e
scalatore) Trento
3.5.2017
Intervista di
Gianfranco Gramola
Un simpatico montanaro che nei suoi libri ama
raccontare la sua filosofia di vita, ossia quella dell’accontentarsi di quel
poco che serve. Capelli elettrizzati e bandana, Corona scrive anche
per il piacere di inventare una storia e vedere se diventa interessante
Mauro Corona, figlio di Domenico "Mene" Corona e Lucia
"Thia" Filippin, venditori ambulanti, è nato a Baselga di Pinè il 9 agosto del 1950. Risiede a Erto e
Casso, in Provincia di Pordenone, luogo d'origine dei genitori. La carriera di
scrittore inizia nel 1997, quando un amico giornalista pubblicò alcuni suoi
racconti sul quotidiano Il Gazzettino.
Da allora ha pubblicato una trentina di libri. Nei suoi romanzi e nei suoi
racconti Corona ci porta a contatto con un mondo quasi del tutto scomparso:
quello della vita e delle tradizioni nei paesi della Valle del Vajont, un
ecosistema che subì violenti sconvolgimenti a seguito della tragedia.
Personaggi ed echi del passato riaffiorano tra le righe di Corona, che affronta
con uno sguardo appassionato e un po' malinconico tematiche come il rapporto
dell'uomo con la natura, con le proprie radici e con l'incombente progresso
economico e tecnologico.
I
suoi libri
Il volo della Martora -
Le voci del bosco - Gocce di resina - Nel legno
e nella pietra -Aspro e dolce - Cani, camosci, cuculi (e un
corvo) - Torneranno le quattro stagioni - Venti racconti allegri e uno triste -I
misteri della montagna -L'ombra del
bastone
- I fantasmi di pietra - Storia di Neve - Il canto delle manére
- Come sasso nella corrente - La voce degli uomini freddi - La via del
sole -Storie del bosco antico - La casa dei sette ponti - Una lacrima color
turchese - Favola in bianco e nero - La montagna Chiacchierata con ventun
giovani all'osteria Gallo Cedrone in una notte di primavera del 2002, con
2 CD - Un destino nel volo -Vajont:
quelli del dopo
- La fine del mondo storto - Guida poco che devi bere.
Manuale a uso dei giovani per imparare a bere - Confessioni ultime - La ballata
della donna ertana – Gli occhi del bosco (Storie di animali e uomini) - Il
bosco racconta: Storie del bosco antico - Torneranno le quattro stagioni - Quasi
niente
Ha detto:
- Il prezzo del
successo? Non lo pago, io sono come le corna delle lumache, che escono per
guardare, spiare. Ma appena le tocchi, si ritirano. Ecco, io vivo a corna di
lumaca, cioè quando la pressione si fa troppo forte, sparisco. Mi rifugio nella
mia baita, da solo, per una o due settimane. Lo ammetto però che mi fa piacere
quando mi chiedono un autografo.
- Ho un rimpianto.
Non aver potuto frequentare la scuola di scultura di Ortisei. Dopo le medie ai
Salesiani, l’avevo chiesto a mio padre, che Dio l’abbia in gloria. Mi ha
risposto con due calci in culo.
- La tecnica dello
scultore, dell’alpinista e dello scrittore è la stessa:si tratta sempre di
“togliere”. Legno dalla scultura, movimento nell’alpinismo e parole nei
libri.
- Mio nonno mi
diceva: “Mauro, dopo il crocifisso l’unica cosa che ti può far
inginocchiare è la terra”.
- So bene di essere
un prodotto, l’uomo giusto nel posto giusto ... le persone non sono più
naturali e io appaio come uno sciamano. Sono la velina della montagna, si
aspettano che io dorma sugli alberi e mangi resina. Io gli do quel che vogliono,
finché lo decido io, però.
Curiosità
- Ha scalato più di 2000 vette italiane ed
estere, aprendo oltre 300 vie di scalata nelle Dolomiti d'oltrepiave.
- Con “Cani, camosci, cuculi” (e un corvo) si è aggiudicato il Cardo d'argento al 37º
Premio Itas del libro di montagna, ritirato da Corona il 29 aprile 2008.
Il 17 luglio 2011 il libro “La fine
del mondo storto” vince, con 75 preferenze, il Premio Bancarella 2011 e
nel 2014 vince il Premio Mario Rigoni Stern.
- Le sue opere sono state tradotte in varie
lingue (cinese, tedesco, spagnolo).
- Recentemente Mauro Corona è stato preso di
mira dal comico Maurizio Crozza, che lo imita in maniera buffa e bonaria.
Intervista
Mauro Corona è a Trento in occasione del
Festival della Montagna. Siamo all’interno del bar Baccus di piazza Fiera, a
Trento. La gente che entra per prendere un caffè lo riconosce e si avvicina per
salutarlo o per chiedergli un autografo. Lui disponibile si mette in posa. Altri
appassionati dei suoi libri lo aspettano all’uscita per un selfie o
una dedica sul libro.
Hai
pubblicato parecchi libri. Come ti sei avvicinato alla scrittura?
Prima di tutto grazie alle
grandi letture perché mia mamma, quando ci abbandonò, io avevo sei anni e mi
lasciò una stanza piena di libri. Quei libri che aveva ereditato dal nonno,
segretario comunale di Erto. Pian piano verso i 13 anni mi sono letto una buona
parte di quei libri, da Tolstoj, Dostoevskij e
Cervantes e tanti altri. Ricordo “Guerra e Pace” –
“I miserabili” – “L’idiota”, “Il capitano dei penitenti neri” (Ponson
Du Terrail, ndr) e tanti altri. Quindi ero un lettore fin da piccolo.
Dopo di che sono andato al collegio Don Bosco, anche se non sono mai
stato affascinato dal clero. Lì mi hanno dato l’indirizzo su come scrivere,
periodi brevi, che dovevano durare il tempo di un respiro. Poi morì mio
fratello in Germania … venne trovato
morto in una piscina. Allora andai a lavorare, però l’idea di scrivere
c’era sempre. Quando misi su famiglia e
ho avuto dei figli, cominciai a scrivere dei brevi racconti da leggere la sera a
questi bambini, in modo che imparassero un po’ la vita, ossia che non è
necessario, come dice lo slogan, il tonno che si taglia con un grissino, ma
basta poco. Avevo una quarantina di questi racconti e li ho messi insieme,
proprio qui a Trento, al Festival della Montagna. L’editore Vivalda mi chiese
se avevo qualcosa di scritto, perché aveva saputo che alcuni
miei racconti erano stati pubblicati sul Gazzettino. Allora gli consegnai questo
pacco di fogli “squinternati” e da lì è nato “Il volo della Martora” e
poi pian piano, tra libri, racconti e romanzi ne ho scritto una trentina.
Per
te scrivere è un’esigenza, uno sfogo o questione di denaro?
Se
viene del denaro non ci si sputa sopra, perché ho 4 figli, li ho fatti
laureare, e ho dato una mano a sistemare la casa. Per me scrivere è uscire
dall’inferno come disse Antonin Artaud, uno scrittore drammaturgo e poeta, che
morì in manicomio. Disse anche: “Nessuno ha mai scritto, dipinto, fatto
musica o quant’altro, se non per uscire di fatto dall’inferno”. Io quando
scrivo mi racconto delle storie e cerco di uscire dai miei incubi, dalle mie
paure, dalle malattie, dalla morte, dalle delusioni della vita. Scrivere mi ha
salvato la vita, mi ha aiutato molto. Ecco perché scrivo, poi anche per il
piacere di inventare una storia e vedere che capacità ho, se il racconto sta in
piedi e se diventa interessante.
E’ una prova che aiuta però anche a vivere.
Quindi
ha migliorato il tuo percorso di vita, giusto?
Assolutamente
si, soprattutto la lettura,ma tanto anche la scrittura, perché ti fa acquistare
sicurezza, impari le parole, impari gli aggettivi,
impari l’andamento gradevole della frase, come diceva Balzac.
Hai
mai lavorato per beneficenza?
Certo,
Gianfranco. Queste cose non si dovrebbero dire, ma un quarto dei soldi che ho
guadagnato li ho regalati a gente bisognosa. Addirittura ad un amico che veniva
spesso a Trento gli ho pagato per 10 anni l’affitto e gli ho comprato tre
automobili. Poi ho fatto donazioni ai bambini poveri. Ora sto un po’ più
attento, perché vorrei sapere bene dove vanno a finire i soldi che do, perché
sono tutti bravi, ma quando vedono soldi, soprattutto facili e copiosi, se
approfittano. Comunque ho fatto molte donazioni e molti dovrebbero imitarmi in
vece di accumulare soldi.
Altro
tuo mestiere è lo scultore. Qual è il segreto di un buon scultore?
Il
segreto di un buon scultore prima di tutto è impossessarsi della tecnica, perché
se non sai usare gli attrezzi, fai disastri. La passione non basta. Se a uno
piace il violino deve allenarsi, fare il Conservatorio e dalla scuola esce chi
ha idee più geniali oppure originali. Tutti gli scultori sono capaci di fare
una “maternità”, ma c’è quello che riesce a farla in modo più forte. La
marcia in più ce l’hai o non ce l’hai. Per me scolpire è come scrivere,
non è un modo per divertirmi. E’ una soddisfazione quando da un pezzo di
legno vedi venir fuori una testa di un bambino, o una donna col bambino. Queste
sono soddisfazioni impagabili, perché l’ho fatta io, e lo dico senza alcuna
vanità, sia chiaro.
Io e Mauro Corona al bar Baccus di Trento
Com’
è il tuo rapporto con la fede, Mauro?
E’
molto in crisi ultimamente. Sono cresciuto in una famiglia cattolica, cristiana,
anche se mio padre era più un delinquente che cristiano. Ho 67 anni e negli
ultimi tempi sta vacillando parecchio la mia fede in un Dio che permette certe
cose e non permette altre. Bambini che muoiono macellati, donne uccise, persone
che muoiono di fame, ecc … Come Fede sono molto in crisi, oserei dire che sto
diventando laico, però a mio favore c’è che quando passo per le montagne e
vedo un crocifisso inchiodato ad un larice, mi faccio il segno della
croce e gli bacio i piedi. Certamente la mia Fede non cola dai candelabri. Il
clero deve starmi lontano e tutte quelle persone che hanno tenuto nascosta la
pedofilia per secoli, che hanno macellato i Valdesi. Preti e ordini religiosi
devono starmene alla larga, anche se ho una remota riconoscenza per i preti del
Don Bosco.
Quali
sono i valori che hai trasmesso ai tuoi figli?
La
semplicità e non fare del male al prossimo. La generosità, la tolleranza, la
carità, il perdono e soprattutto la semplicità nelle esigenze. Io ho
guadagnato un bel po’ di soldi con i miei libri, ma i miei figli quando mi
hanno chiesto l’automobile, hanno voluto la Panda, non mi hanno detto che
volevano quella che costa 60 mila euro. Io ho preso la Panda 4 per 4, che costa
abbastanza, ma d’inverno con la neve, vai dove vuoi, non resti bloccato. I
miei figli non mi chiedono dove si mangia bene, perché sanno che basta stare
tre giorni a digiuno e poi si mangia bene dappertutto. Questi sono i valori che
ho insegnato a loro. Fra questo ho sottolineato soprattutto la generosità. Se
hai dieci, tagli uno e lo dai a chi non ha niente. Questo dovrebbero farlo anche
i miliardari che non hanno le palle per aiutare un povero o dare una mano a chi
è più sfortunato. E’ una roba che fa schifo.
Qual
è il tuo punto debole?
L’irascibilità
e l’impulsività mi hanno fregato e mi hanno creato tanti nemici e anche tante
rogne. L’essere impulsivo lo controbilancio
con l’umiltà di chiedere scusa. Ma l’impulsività mi frega sempre e
un altro mio punto debole è una certa vanità che cerco però di contenere.
Certamente c’è un po’ di vanità, ma mai cattiveria o vendicazione. Però
una certa impulsività e un po’ di vanità, se fosse possibile, la toglierei
dal mio carattere.
L’ultima
volta che hai pianto e perché?
Ho
pianto anche ieri sera, perché mia figlia ha avuto un problema molto serio di
salute, ora è a posto per fortuna. Poi ho pianto per un problema mio diciamo
del cuore. Quando vedi la gente che ti
dice: "Ti voglio bene" e poi ti macella … la scomparsa di un amico,
quello che ti accennavo prima, quello che per 40 anni siamo venuti insieme al
festival della Montagna di Trento. La sera ti trovi solo nell’albergo e
rifletti. Ti vengono in mente delle magagne e piangi per sfogarti. Ho pianto
ieri sera e lo può testimoniare Mirella Tenderini, quella che viene da dieci
anni al Festival della Montagna. Mi ha visto anche lei. Non ho paura a farmi
vedere piangere. Per me piangere è uno sfogo ma è anche un regalo.
A
volte piangere può essere anche una medicina.
E’
vero. Durante il pianto stai male e poi finito lo sfogo ti assale una pace
interiore indescrivibile.
L'ultimo libro di Mauro Corona e Luigi
Maieron "Quasi niente"
Com’è
il tuo rapporto con il Trentino, Mauro? So che ci vieni spesso.
Io
sono nato in Trentino, Gianfranco. Mio papà e mia mamma venivano in Trentino a
vendere oggetti in legno, con il carretto. Io sono nato durante una loro
trasferta tra Baselga di Pinè e Trento. Mentre mia madre spingeva il carretto
pieno di ciotole, mestoli, forchette e altri oggetti di legno, sono venuto alla
luce il 9 agosto del 1950. A Trento siamo rimasti 6 anni, esattamente a Baselga.
Da lì partivano con il carretto con gli oggetti da vendere e facevano tutte le
valli, dalla val di Fiemme e la val di Non. Quindi ho un rapporto speciale con
Trento e tra l’altro sulla mia carta d’identità c’è scritto “nato a
Trento”. Poi qui ho parenti, come ad esempio l’Augusto Corona, che aveva il
negozio “La casa della piuma”. Era a largo Carducci, ora c’è la Luisa e
il Loris Lombardini. Altri parenti sono il Filippin Marco e Beppino.
Quest’ultimo ha tentato di fare il sindaco qui a Trento.
In
Trentino si spendono un sacco di
soldi per gli orsi e fanno un sacco di tagli alla sanità e ai disabili. Come ti
spieghi questo?
La
questione è che in Italia c’è un gran numero di animalisti. Quelli sono voti
sicuri, che ti accaparri quando è il momento, fanno queste campagne a favore
dell’orso, per introdurlo. E’ una strategia per avere un giorno un
tornaconto. Siccome gli animalisti sono un grandissimo numero, sapere che
proteggi l’orso, ti farà ottenere un sacco di voti, anche
se dell’orso non gliene frega niente.
Viviamo
sommersi nell’immondizia. Come possiamo rimediare?
Bisogna
farne meno. Sono anni che lo dico. Ti faccio un esempio semplice, vai in
farmacia e ti compri uno spazzolino da denti. Potrebbero vendere lo spazzolino
con sopra il cappuccio igienico e basta, invece c’è un sacchetto di plastica,
un cartone plastificato che tiene dentro lo spazzolino, l’intero spazzolino è
avvolto poi in un altro cappuccio
che poi devi buttare e lì ci son ben 3 immondizie, che si potrebbero eliminare.
Poi bisogna fare un buon riciclo. Una volta c’era il vuoto a rendere, però
non si può pensare ad una volta, si può invece produrre meno immondizie. Ti
chiedo un panino, mi dai un panino con un tovagliolo. Invece ti danno un panino
con un tovagliolo in un sacchetto e alla cassa un altro sacchetto. Tutta roba
che va nei rifiuti. E’ come il consumo ... basta consumare meno corrente. Ma a
nessuno gliene frega niente di questo. La gente vive in un nichilismo del 3°
millennio e ha capito che la vita è breve e difficile. Allora uno dice: “Ma
che devo risparmiare immondizie!” non pensando a quelli che verranno dopo di
noi, che erediteranno le nostre immondizie. Non
gliene frega niente a nessuno. Sono tutti ecologisti, ma se fai un giro nei
boschi vedi quanta immondizia trovi. Ho visto gente svuotare il porta cicche
sulla strada. Fatti un giro per Trento e vedi che le persone buttano le cicche
per strada. Questo è la mancanza di educazione base nelle famiglie. Se un
bambino di 3-5 anni lo cresci dicendogli che la cicca o il fazzoletto di carta
non si butta per terra, lui non la butterà mai per terra.
Di
cosa parla il tuo ultimo libro?
Il
mio ultimo libro parla della semplicità del vivere. Ci siamo messi insieme io e
il mio amico Luigi Maieron, abbiamo registrato una discussione, poi è stata
sbobinata ed è venuto fuori il libro “Quasi niente”, che parla di cosa
serve per vivere. Chiediamocelo e guardiamoci in giro. Questi ragazzi hanno l’Iphone
nuovo di zecca. Esce il modello nuovo che ha solo poche cose differenti, e fanno
la fila alle 3 di notte per acquistarlo. E’ assurdo. Quando hai un automobile
decorosa, sicura, con l’airbag, accontentati. Invece il tipo di auto diventa
uno status symbol e un giovane che non ha l’auto da figo si sente impoverito,
si sente umiliato. Il mio orologio costa 10 euro, non mi serve il rolex da 30
mila euro. Chi ha il rolex ha un valore, quindi devi difenderlo perché ha paura
che glielo rubino, che gli taglino il polso o che lo prendano a botte. Così uno
si crea un’ansia, si crea problemi. Vedo in giro
giacche di piumino che costano 120 euro e sono di piumino, solo che non
sono di marca. Tu vai a prenderti la Moncler e la paghi 4 volte tanto. Io queste
robe le voglio evitare, perché quando hai una buona giacca non serve cercarne
una migliore. Questa è la cattiva educazione dei nuovi faraoni, che ci hanno
voluto rendere eroinomani di oggetti. Ci hanno drogati dall’oggetto. Quindi
vivere è come scolpire, cioè bisogna togliere per vedere.