Piera Detassis (giornalista e critica
cinematografica) Milano
14.4.2012
Intervista di Gianfranco Gramola
Una
giornalista seria e preparata, che ama ricordare la sua infanzia trentina e
ringrazia di cuore papà Giulio e mamma Clotilde, che non ci sono più, perché
le hanno dato quella educazione trentina che fa veramente la differenza
La
giornalista, saggista e critica cinematografica Piera Detassis è nata a Trento
il 9 dicembre del 1953. Laureata nel 1973 in storia e critica del cinema con
Gian Piero Brunetta, con una tesi su Galvano Della Volpe, e successiva
specializzazione a Parigi. È stata a lungo assistente presso le cattedre di
Storia del Cinema e di Estetica dell’Università di Verona e Padova. Negli
anni settanta ha partecipato all'avventura della rivista bolognese “Cinema
& Cinema” e scritto saggi e articoli per le maggiori testate
specializzate. Come giornalista ha debuttato agli inizi degli anni ottanta
collaborando alle pagine culturali e spettacolo di L’Arena, L’Unità
e il Manifesto. Dal 1985 al 1988 ha diretto l’Ufficio Cinema del Comune di
Modena, organizzando l’attività di tre sale, vari eventi, rassegne e una
scuola di cinema con la direzione di Nanni Moretti. Autrice di molti saggi e
volumi, tra cui Alain Tanner , Il
cinema di Antonio Pietrangeli, Lamerica ed il libro Caro diario. È stata membro
della commissione di selezione della Settimana della Critica di Venezia. Dal
gennaio del 1997 è direttrice di Ciak, mensile di cinema del gruppo Mondadori,
con il quale collaborava già da diversi anni. È il critico cinematografico di
Panorama. La sua continua valorizzazione della donna nel cinema e non solo la
porta, nell’aprile del 2006, a organizzare assieme a Marco Giovannini il
convegno “Femme fatale, femministe fatale” nella cornice del festival
veronese “Schermi d’amore”, in cui si analizza la figura
erotico/sentimentale della donna dal cinema in bianco e nero fino ai giorni
nostri. Ha fatto parte della giuria ufficiale del Festival di Venezia nel 2001.
Dal 1991 dirige il festival di Tavolara “Una notte in Italia”. Nel 2007 ha
curato la retrospettiva “Italian Leading Ladies”, che, accompagnata da un
volume in inglese e italiano, ha debuttato a New York e al Festival di Locarno,
rendendo omaggio alle dive del cinema italiano. Sempre nel 2007 dirige la
sezione “Premiere” della seconda edizione del Festival Internazionale del
Film di Roma e ha curato il coordinamento artistico delle successive edizioni.
Bibliografia
1981-
Sequenza segreta : le donne e il cinema con Giovanna Grignaffini – Feltrinelli
1986
- Alain Tanner – Il castoro cinema
1986
- Il cinema di Carmelo Bene con Emanuela Martini - Comune di Modena
1987
- Bellissimi con Mario Sesti e Pierluigi Ronchetti – Il Lavoro Editoriale
1987
- Il cinema di Antonio Pietrangeli con Tullio Masoni e Paolo Vecchi – Marsilio
1988
- Cinema Beur: generazione zero: il cinema dell'emigrazione araba in Francia con
Fabrizio Grosoli – Riminicinema
1994
- Lamerica: film e storia del film con Gianni Amelio – Einaudi
2002
- Caro diario – Centro Studi Lipari
2003
- Daniele Vicari – Falsopiano
2007
- Signore & Signore – Cinecittà Holding
Ha detto:
- Non
do molti consigli agli esordienti che vogliono scrivere un libro di cinema, devo
dire che proprio non me li chiedono moltissimo e quei pochi che do mi ascoltano
poco, se devo essere sincera!
- Le
cose che si possono dire con due parole interessanti, non occorre dirle con
cinquanta parole incomprensibili.
- La
mia aspirazione è sempre stata quella di riuscire a comunicare, cioè di
comunicare con un pubblico più vasto e possibilmente, diciamo dove possibile
perché non è un lavoro facile, senza semplificare. Raccontare, raccontare il
cinema, raccontarlo senza rendere impossibile la comprensione del cinema
attraverso un linguaggio troppo specialistico, e tuttavia non scendere a patti
con il troppo popolare.
- Mio
padre era un uomo semplice, un imbianchino un po’ socialista e un po’
comunista, un uomo silenzioso tipico della nostra terra, in cui non era previsto
il dialogo in famiglia. Però quand’era in guerra scriveva dei raccontini ai
propri figli e sapeva anche fare i burattini… e forse inconsciamente devo a
lui il mio approccio all’arte. Quando è morto gli ho messo nel taschino il
mio primo articolo.
Intervista
Che
ricordi hai della tua infanzia trentina?
Ne
ho tantissimi, dall’asilo con le suore fino a, come ho raccontato anche spesso
nelle interviste, alle scuole Crispi. Poi le processioni che mia mamma mi
portava e mio papà che non voleva portarmi, quindi avevo una famiglia in
conflitto, come Peppone e don Camillo. Mi ricordo che al Crispi, avevamo il
vescovo di fronte e ogni tanto ci buttava le caramelle dal poggiolo
all’intervallo e noi uscivamo per andare a raccoglierle. Certo non c’era il
traffico di oggi. Come tante pulcine o galline venivamo pascolate così. Mi
ricordo molto le montagne che io non amo particolarmente, questo non è carino
da dire a Trento, ma proprio per un eccesso di montagnetudine, perché mi
portavano continuamente in queste gite sul Bondone, con la Sosat. In Candriai
passavo l’estate quando ero un po’ più grande, perché avevamo un vagone
ferroviario adibito a casetta, tipo roulotte.
Un
vagone ferroviario?
Si!
Chiaramente con le ruote bloccate. Era nel pascolo vicino alla malga e si
sentivano i meravigliosi profumi della malga e del fieno. Sono passata qualche
anno fa e ho visto che c’è un maneggio meraviglioso, spettacolare, ma lì è
molto selvatico. Avevamo questo vagone postato lì chi sa da quando, penso fatto
portare lì dopo la guerra da mio zio o mio papà. Era meraviglioso
perché era stato trasformato in casetta e dentro c’erano i letti a
castello e essendoci il tetto di lamiera e quando pioveva si sentivano le gocce
sul tetto. Le mie vacanze erano a Candriai e sul lago di Garda perché non è
che fossimo molto benestanti, anzi eravamo una famiglia molto modesta. Mio papà
era imbianchino. Però questi ricordi vivono dentro me. C’era sempre questa
atmosfera religiosa che mi ha indotto a una fuga precoce. Molta montagna fin
troppa, c’erano queste castagnate autunnali, sempre in compagnia. Quello che
mi piaceva era pattinare però io a 9 anni mi sono buttata in piscina e ho
incominciato a fare agonismo subito con la Rari Nantes Trento. All’epoca
c’era Klaus Dibiasi che si allenava e quindi dopo ho fatto quella piccola
carriera da nuotatrice, poi ho smesso perché a me piaceva molto studiare ed era
totalmente in conflitto perché mi allenavo tantissime ore al giorno nella
piscina coperta di Trento, vicino all’ospedale santa Chiara, perché io
abitavo lì vicino, in via Fiume, piazzetta Negrelli.
Come hai iniziato nel giornalismo?
La
passione del cinema l’ho avuta molto presto e devo dire che Trento ha molto
contribuito. C’era un bellissimo cineforum, cineforum S. Pietro che era credo
gestito dal fratello di Francesco Casetti. Francesco Casetti, per chi non lo
conosce, è uno dei più grossi studiosi del cinema italiano, è di Trento ed è
un teorico di fama mondiale. Suo fratello faceva il cineforum, e io lì ho visto
i primi film. Era verso la fine degli anni ’60 e io facevo le magistrali. Mi
ha molto appassionato di cinema come arte alternativa, come arte sovversiva,
soprattutto Bellocchio, la Nouvelle Vague e il cinema impegnato che si vedeva
all’epoca con il famoso dibattito a seguire. Ho cominciato così. In quegli
anni avevo dei professori straordinari, che erano più contestatori di noi, con
una tempra molto forte e vivace. Ed erano degli insegnanti che mi hanno aperta
al mondo e l’insegnante di filosofia ci aveva dato un tema su un film che ci
era piaciuto molto. Io ho fatto questo tema che era su un film di Richard Lester,
che non tutti ce l’hanno, il titolo originale era The Knack. Ti dirò che la
prima cosa che ho scritto di cinema era proprio su questo film. Poi ho studiato
e mi sono laureata in cinema e mi sono specializzata in Francia. Ho avuto la
fortuna di avere dei grandi maestri, i migliori. Mi sono laureata con Giampiero
Brunetta, lo storico che ha innovato la storiografia del cinema in Italia,
giovanissimo fra l’altro, perché era il più giovane cattedratico italiano.
Poi ho studiato con un maestro del cinema in Francia, tutto pagandomi io le
spese. Questo ci tengo a dirlo perché i miei non potevano permetterselo di
pagarmi gli studi. Ho anche litigato e in famiglia c’era molto contrasto come
in tutte le famiglie in quegli anni lì. Però voglio fare un omaggio al Giulio
e alla Clotilde che non ci sono più, perché comunque mi hanno dato quella
educazione trentina che la esporto ovunque e che fa veramente la differenza. Io
lo dico spesso e non è molto popolare come puoi immaginare, perché io lavoro a
livello nazionale e internazionale, lungi da me qualsiasi cosa da leghismo,
ecc… però io non credo che Trento sia veramente del tutto Italia, perché
sento una differenza forte. E’ Italia ovviamente, con qualcosa in più o forse
in meno questo non lo so, però c’è una diversità e una peculiarità di
questi luoghi. Che siamo una zona di frontiera, il che secondo me è
interessante e anche se non sono di lingua tedesca, però si sente.
Dal 1997 sei direttore di Ciak, rivista
molto accreditata anche all’estero. Com’è cambiato il mensile nel corso
degli anni?
E’
cambiato il mondo Gianfranco, da quando lo dirigo io. In realtà 16 anni è
un’enormità di anni per una direzione. Direi che è cambiato tutto il
panorama intorno. Prima c’era solo la carte e noi eravamo competitivi al
massimo in Italia, perché eravamo solo noi ed eravamo i più forti in tutto.
Poi quando io l’ho preso in mano, cominciava internet. Pensa
all’accelerazione tra internet per arrivare ad oggi, saltiamo proprio tutto e
arriviamo ad oggi con i social network, facebook, twitter e tutte queste cose
che usiamo quotidianamente. L’informazione arriva da tutte le parti, sembra più
difficile ovviamente soprattutto in un campo come questo dove c’è
l’immagine. E’ sempre difficile tenere la concorrenza sulla carta stampata.
Noi abbiamo cercato di puntare sulle firme, sull’autorevolezza, sulle
esclusive e quindi naturalmente sempre più difficile proprio per i giornali,
siamo riusciti ad ottenere anche allargando, perché abbiamo rafforzato molto il
brand, il marchio Ciak. Abbiamo iniziato a vendere i Dvd con il marchio Ciak e
quello ci ha permesso di diventare la leadership. Cerchiamo di mettere il
marchio Ciak su ogni attività che riguarda il cinema in Italia, perché
l’autorevolezza di questo marchio faccia si che sia un punto di riferimento.
Quindi è chiaro che la rivista deve puntare di più sull’autorevolezza che
non sull’informazione, perché tu ti svegli la mattina e hai già tutto sul
telefonino. Inoltre dobbiamo confrontarci con un mondo dove la sala ha perso
peso e potere rispetto alla visione casalinga, quindi
abbiamo dovuto allargare di più questi spazi. Senza contare la pirateria
che è un grosso problema per il cinema, come lo è per la musica. La gente
ormai tende a scaricare di tutto e di più illegalmente. Nel caso del cinema
evidentemente bisognerà andare verso la scarico legale. Insomma bisogna
confrontarsi con un mondo che è mutato in maniera radicale e questo non da
quando ho iniziato a lavorare, ma da quando sono diventata direttore si è
accelerato molto. La cosa straordinaria quando sono arrivata la prima volta a
Ciak, cioè nel 1997 ed era ancora Silvio Berlusconi editore, non era Mondadori,
ricordo perfettamente che il primo mese che ero là a Milano, era arrivato il
primo fax e prima c’era ancora la telescrivente. Il fax, che è uno strumento
di cui oggi non abbiamo neanche più memoria praticamente. Se pensi che
scrivevamo a macchina, non impaginavamo direttamente, c’erano i foto
compositori, si tagliava sulla carta, poi sui lucidi, c’erano venti passaggi
sulle bozze, le correzioni, le pagine rifatte… Da come sono cambiate tutte
queste cose mi sento una veterana e mi viene voglia di mettermi in pensione
(risata).
Qual
è la situazione del nostro cinema?
Il
primo problema del cinema italiano è che non ha un mercato internazionale, ma
solo locale. E’ molto centrato sulla commedia come unico genere da botteghino,
però ha moltissimi talenti, ne ha tanti e soprattutto negli ultimi anni. Ma
c’è una contrazione dei posti in cui si può vedere un certo tipo di cinema.
Diciamo è un po’ la chiusura delle mono sale di città, quelle dove hai un
certi tipo di prodotto e un certo tipo di pubblico. La costruzione di tutti
questi multiplex ha mutato un po’ il panorama soprattutto dello
spettatore. Quindi è molto più difficile la penetrazione di un certo
tipo di prodotto che è tipicamente quello italiano se non è appunto la
commedia. Adesso, dopo un paio di anni che si puntava solo ed esclusivamente
sulla commedia, c’è una specie
di inversione di tendenza perché c’è un’uscita di film impegnati che
raccontano l’Italia, vedi il film di Marco Tullio Giordana
“Romanzo di una
strage”.E’ sicuramente un momento non facile per il cinema italiano.
Come
riesci a tenerti aggiornata sul mondo del cinema mondiale?
Mi
tengo aggiornata attraverso i nostri corrispondenti americani e questo è
fondamentale per il mio lavoro. Poi da sempre io leggo tutto, ogni cosa. Ho la
fortuna di leggere in più lingue e questo è molto importante e non lo dico per
tirarmela, ma lo dico soprattutto per i ragazzi che sono tutti molto evoluti.
Diciamo che la mia fortuna in quell’epoca lì è stata quella di aver studiato
fuori dall’Italia e quindi di aver sempre letto la stampa straniera e di poter
leggere sia in inglese e francese e quindi di rimanere sempre informata anche
quando non c’era internet, proprio per una passione e un accanimento mio
personale. Sono sempre stata una divoratrice di giornali, di ogni forma, colore,
tipo e spessore. Adesso indubbiamente mi tengo aggiornata con l’avvento di
internet attraverso i siti, ma anche con Twitter che mi aggiorna minuto per
minuto. Quindi c’è un lavoro continuo di aggiornamento e soprattutto nel mio
lavoro è importante avere un po’ di antenne. Il talento è un po’ anche
quello, cioè di riuscire a captare e capire quello che sta succedendo, quello
che andrà, quello che funzionerà e quello verso cui si dirigerà la gente. Lì
poi ad un certo punto bisogna avere dei collaboratori validi. Da soli non si fa
niente, anche se hai talento. A me piace molto lavorare in squadra e credo di
avere un po’ il talento di riuscire a mettere insieme un po’ di persone.
Senza quello non vai da nessuna parte perché poi è molto importante ad un certo punto riuscire a mantenere un contatto
con un pubblico giovane, con i ragazzi. E’ chiaro che ad una certa età questo
lavoro lo puoi fare solo se hai molte antenne giovani che si muovono e in
qualche modo ti portano informazioni,, notizie, mood, tendenze, sensazioni che
si stanno costruendo.
Quali sono gli ingredienti di un buon
film? Qual è la formula giusta per portare la gente al cinema?
Ci
vogliono sicuramente idee nuove. Bisogna che un film contenga non solo una
storia importante, ma che comunque crei una forte corrente di empatia con lo
spettatore. Ci sono dei film bellissimi dove capisci subito che non avranno un
rapporto con il pubblico, perché racconta una storia che non è nelle corde del
pubblico in quel momento. Magari è raccontata meravigliosamente però non ha la
forza e la contemporaneità di arrivare. Penso all’esempio del “Titanic”
in 3D che riesce adesso e comunque funziona ancora. Tira la gente e anche oggi
è primo in classifica da noi. E’ forse l’esempio proprio di una storia
forte che oltre ad essere un ottimo film, è anche una storia universale.
Titanic è un microcosmo che racconta la vita: la prima classe e la terza
classe, la povertà e la ricchezza, l’amore, la passione, l’incidente, la
lotta per la sopravvivenza, la morte, la perdita, la sconfitta. Racconta un
grande universo in un unico luogo e quello è sicuramente un prototipo di una
storia che la rende in qualche modo immortale, eterna.
Com’è
andata a finire con le polemiche scatenate sui giornali sulla nomina del nuovo
direttore del Festival del cinema di Roma e sulle dimissioni del Presidente Gian
Luigi Rondi?
E’ chiaro che i direttori sono in scadenza,
io non ho nulla da dire su questo. Ho molto da dire sui metodi utilizzati perché
la notizia è stata fatta uscire sulla stampa. Il direttore in pectore (Marco Müller,
ndr), non ancora nominato tutt’oggi, ha rilasciato dichiarazioni e interviste
prima ancora della mia scadenza, come se fosse il direttore. Ma quello che io ho
trovato veramente irrituale e fuori da ogni logica, è il fatto che sia stata
scavalcata l’autonomia di un presidente
qual’era Gian Luigi Rondi, che aveva espresso una sua opinione e anche una sua
indicazione di voto e di nomina. Sono state schiacciate tutte le regole
possibili e immaginabili e il risultato è che a tutt’oggi non c’è ancora
un contratto firmato, il Festival è completamente bloccato, la squadra non
lavora e non c’è ancora l’alternativa reale. Quindi mi sembra che alla fine
hanno creato solo un grande caos. Detto questo dal mio punto di vista io ho
reagito come ho reagito appellandomi alle regole e nient’altro. Capisco bene
che i direttori scadono, sono abituata perché faccio questo di mestiere, però
l’invadenza della politica sulle regole e sulle autonomie culturali creano
solo un grandissimo danno.