Rino Barillari (fotografo - paparazzo)
Roma 27.2.2017
Intervista
di Gianfranco Gramola
La storia fantastica di un ragazzo
calabrese, arrivato a Roma giovanissimo, con il sogno di fare il fotografo.
Testimone della Dolce Vita di via Veneto, ha fatto storia
con i suoi numerosi scoop fortunati, geniali e spesso anche pericolosi.
Per tutti è “Il King dei paparazzi”, un maestro nel suo campo.
Saverio Barillari detto Rino è
nato a Limbadi (Vibo Valentia) l’8 febbraio del 1945. Incomincia
aiutando lo zio che proiettava film nelle arene. All'età di 14 anni scappa di
casa e va a Roma con un amico. Trova lavoro aiutando gli "scattini"
presso la Fontana di Trevi. Di lì a poco, compra una macchina fotografica, una
Comet Bencini. Vende i negativi delle foto scattate di giorno ad agenzie
giornalistiche come Associated Press, UPI e ANSA. Incominciando giovanissimo, ha
fotografato molti personaggi della "Dolce vita" a cavallo tra il 1959
e 1960. Una rissa con Peter O'Toole in Via Veneto gli porta la notorietà. È il
1963, l'attore gli spacca un orecchio e il padre del giovane Barillari sporge
denuncia perché minorenne. Negli anni successivi intento a paparazzare
personaggi come Frank Sinatra in Via Veneto al Café de Paris, Charles Aznavour
in Via dei Condotti, l'astronauta americano Buzz Aldrin alla "Cabala"
– Osteria dell'Orso, il marito di Brigitte Bardot Gunter Sachs von Opel presso
Villa Pavesi a Genzano, Alfredo Bini con la top model Daniela Juan presso "Papè
Satan" in via Tacito, Mickey Hargitay con la top Model Vatussa Vitta, Sonia
Romanoff, Franco Nero a Fontana di Trevi, Elizabeth Taylor alla
"Cabala", Barbara Streisand in via dei Condotti, Mickey Rourke a
Fregene, Claudia Schiffer “dal Bolognese”, Sylvester Stallone con la
fidanzata Jennifer Flavin al ristorante "Alfredo all'Agusteo", Mario
d'Urso e Margaret d'Inghilterra al "Jackie'O", Bruce Willis ai “Due
Ladroni” in piazza Nicosia, viene strattonato e a volte picchiato dai
bodyguard. Dagli anni sessanta in poi Barillari si occupa di cinema, degli anni
di piombo e di vari episodi di cronaca nera lavorando per Il Tempo e dal 1989
per Il Messaggero. È stato nominato docente honoris causa in fotografia presso
la Xi’an International University nell'ottobre 2011. Il 24 luglio 2012 riceve
la lettera di incarico da Huang Teng rettore della Xi'an International
University. Il 9 dicembre 2012 partecipa alla trasmissione condotta da Paolo
Bonolis "Avanti un altro!"
Mostre
Roma - Harry's Bar - "Dolce Vita Gallery"
- Mostra permanente - Mosca - Stoleshnikov Street "La mia dolce Vita"
- San Pietroburgo - "L'Italia viene a voi" – Xi’an
- "Università di Xi'an e International Folk Video Festival" -
Mosca - Parco Sokolniki - "Dolce Vita" - Gerusalemme - Cinematica di
Gerusalemme - Jerusalm Film Festival - Los Angeles - Cinema Italian Style -
"50s and La Dolce Vita Style" - Stoccarda - "The decades of the
jet set" - Roma - Senato della Repubblica - "1960. Il mondo ai tempi
de 'La dolce vita'. Immagini e storie dalle collezioni dell'Emeroteca" -
Lucca - Palazzo Giunigi - "Divas, dalla dolce vita agli ultimi scoop"
- Roma - Via dei Condotti - "Al centro con arte cinema e moda" - Roma
- Museo di Roma in Trastevere - "Un secolo di clic in cronaca di Roma"
– 2010 - Pescasseroli - "La Dolce Vita ... da Via Veneto a Pescasseroli" – 2016 - Roma -
"90 Anni di Buccellati via dei Condotti Dalla "Dolce Vita" alla
"Vita Dolce" – 2016 - Garda (Verona) - Palazzo Carlotti - La Dolce
Vita da Roma… a Garda – 2016 - Trevi - Miss Ciociaria (Presidente di giuria)
- 2016
Premi
2011, "Premio Eccellenze
Calabresi" - 2012, "Premio That's Italia! Art" - 2012,
"Premio Ischia Friends" - 2014, "Er più fico del bigonzo" -
2014, "The look of the year" - 2014, "Premio Francesco
Alessi".
Ha detto:
- Il paparazzo è il fotografo made in
Italy più amato, odiato, cercato e criticato. Il paparazzo è la vera strada
del fotogiornalismo! Non si arrende di fronte a nulla.
- La mia prima macchina fotografica è
stata una Comet 3 acquistata al mercatino domenicale di porta Portese.
- Il mio motto è “Dio ti vede,
Barillari pure”, e un altro è
“La guerra e guerra”.
-
Per me privacy vuol dire “provaci”.
Curiosità
- Claudia Schiffer e la sua guardia del
corpo, sorpresi al ristorante Dal Bolognese, reagirono gettando l'acqua gelata
del secchiello da champagne all'indirizzo della sempre vigile Leica di Rino
Barillari.
- Durante 54 anni di carriera da paparazzo
Rino Barillari ha collezionato 162 visite al pronto soccorso, 11 costole rotte,
1 coltellata, 76 macchine fotografiche fracassate, 40 flash divelti, numerose
manganellate durante i tumulti di piazza e coinvolto in diverse sparatorie
(terrorismo, rapine, rapimenti e fatti di cronaca nera).
- Onorificenze: E’ Commendatore
dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (2.6.1998)
e Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana (27.12.1992)
Intervista
Quando sei arrivato a Roma e come ricordi
la Roma di allora?
Avevo quasi 15 anni, quindi ero minorenne,
con una grande voglia di sfondare il
mondo, tipo “gladiator”. Me lo ricordo perché ancora non l’ho perso
quello charme, quella grinta. Ricordo una Roma stupenda, una Roma che cresceva,
una Roma meravigliosa, una Roma che cercava in tutti i modi di imitare i miti
americani. Siamo cresciuti con i film che davano nelle sale parrocchiali.
Cercavamo di vedere il meglio o il peggio di quel momento, che in Italia non
c’era.
Quali sono state le tue abitazioni romane?
All’inizio abitavo in via del Governo
Vecchio, vicino piazza Navona e a campo de’ Fiori. Dormivamo in quattro in una
stanza, facevamo i turni, perché non avevamo tanti soldi. Con i pochi soldi si
arrivava a stento a sbarcare il lunario. Per esempio oggi mi fumo tre pacchetti
di sigarette, in quel periodo mi compravo tre sigarette dal tabaccaio e me le
fumavo a pezzettini, ossia mezza al colpo. Diciamo che ero un povero, ma non a
tal punto da chiedere l’elemosina. Diciamo che arrivavo giusto giusto a fine
mese. Avevo le scarpe bucate, però riuscivo a farmele sistemare dal calzolaio,
i pantaloni erano un po’ lunghi e dal sarto riuscivo a farmele sistemare. In
quel periodo ho imparato anche a fare dei sacrifici.
Dopo via del Governo Vecchio dove sei
andato a vivere?
Dopo mi sono spostato a fontana di Trevi.
Eravamo in sei e pagavamo un tanto per uno. Delle volte dormivo in ufficio dove
lavoravo, perché alle quattro di notte sviluppavo
i rullini, li asciugavo, poi arrivava
lo stampatore e faceva i provini e dopo veniva il direttore dell’agenzia e
sceglieva alcune foto sui provini. Dopo fontana di Trevi ho avuto una relazione
e sono andato ad abitare verso la Portuense, poi sono tornato in centro, a
piazza Navona dove vivo tuttora. Questo è un posto vicino ai carabinieri,
vicino alla Finanza, nell’arco di 500-700 metri ci sono tutti i locali più
importanti. Sono in una posizione che in qualsiasi momento sono disponibile ad
una velocità supersonica.
Prima di fare il fotografo, hai fatto
altri lavori?
Appena arrivato a Roma per arrotondare
lavavo le tazzine dentro ad un bar, poi la sera facevo il fotografo. Non si
poteva fare una professione subito,
a quell’età, e dovevo stare attento alla polizia perché se mi prendeva mi
mandava tranquillamente a casa. In quei periodi c’era un controllo pazzesco e
cercavo di non frequentare gentaglia.
Quando hai capito che il paparazzo
sarebbe stato il tuo lavoro?
L’ho capito perché la gente ti dava
importanza, quando mi vedeva con la macchina fotografica Rollei con flash Braun,
tutti mi guardavano curiosi. Io ero un ragazzino, sembravo uno scugnizzo. A quei
tempi conoscevo bene i personaggi americani, parlo di quelli famosi, mentre di
italiani ne conoscevo pochi, come Amedeo Nazzari, Massimo Girotti, Renato
Salvatori, Maurizio Arena e quegli attori che in quel momento andavano alla
grande. Però se c’era un personaggio americano giovane, chi lo conosceva. Non
c’era la televisione come adesso, c’era il cinema nella sala parrocchiale e
basta. Però vedevo la gente che si fermava, guardava, io capivo e scattavo e
poi chiedevo informazioni e vendevo i negativi o all’Ansa, o alla Associated
Press o alla Roiter. Ti pagavano i negativi
e io quei soldi li investivo in rullini.
Com’è la vita di un paparazzo?
Il mestiere di paparazzo, se lo fai con dignità e rispetto anche verso il personaggio, è il mestiere
più bello del mondo.
Se un Vip ti chiede di non
fotografarlo?
Se tu conosci bene un personaggio è “falliment”,
nel senso che diventa amico e quando vuoi fare un servizio per un giornale ti
dice che è stanco, che va di corsa e intanto salta il servizio. Mentre se con
un personaggio sei amico, ma con un certo distacco, è diverso. Per esempio tu
hai un amico famoso, viene rapinato, vai a casa e lui ti chiede di non fare
foto, siccome è un amico le foto non le fai, però al giornale che dico quando
mi presento a mani vuote? Il direttore ti manda via a calci nel sedere e mi dice
di cambiare mestiere.
Il segreto di un bravo paparazzo?
Il paparazzo intanto è anche un
giornalista. Il giornalista al momento non capisce la notizia, ma tu quando
scatti sai già che quella foto finisce in prima pagina o sarà una foto
d’archivio. Sono anni di esperienza anche il capire come creare un
personaggio. Se il personaggio lo fai troppo felice è un “falliment”, devi
farlo triste, perché s’è lasciato con il fidanzato o con il marito. Sono
tante alchimie che solo un professionista può capire. Non è che un paparazzo
scatta tanto per scattare. Va a intuito ed esperienza.
Rino Barillari con Matt Damon
Ci sono dei Vip che concordano gli
scoop?
Se tu hai un personaggio e l’ufficio
stampa in gamba e il personaggi va seguito bene, è chiaro che molti servizi
sono montati e organizzati a tavolino. Parlo di un buon 30 per cento. Però ci
sono anche quelle che tu aspetti sotto casa per una settimana, due, tre e in un
minuto riesci a fare quel servizio, tipo l’entrata o l’uscita da quel
palazzo, di lui o di lei e riesci a
fare lo scoop.
Com’è nato il tuo moto “La guerra
è guerra”?
Durante il terrorismo avevo degli amici,
alcuni dei quali sono morti davanti ai miei occhi. Quando arrivava qualche
parente gli diceva: “La guerra è guerra” e stavano zitti . E’ un modo per
tranquillizzare il personaggio, fa parte del mio lavoro e in qualche modo però
cerco di salvare il salvabile, perché quel momento è un fatto clamoroso
brutto, di pianto, ma dopo 15 anni diventa la storia di quell’immagine. E la
storia di quell’immagine è la storia di un paese.
Che ricordo hai della “Dolce Vita”?
Ricordo che si stava molto bene, le
persone erano felici, la gente si era buttata in qualsiasi tipo di lavoro,
c’era nell’aria una voglia di fare e anche di divertirsi. In quel periodo
sui giornali c’erano 17 pagine di annunci economici. C’era lavoro per tutti.
Ora questo paese è in agonia.
Com’era via Veneto?
Via Veneto era un teatro di gente
internazionale che veniva per farsi vedere. La gente passava, guardava,
curiosava e impazziva. C’erano anche più controlli da parte dei
carabinieri e se vedevano 5 ragazzi in gruppo, venivano controllati.
Succedevano anche fatti di cronaca, però in linea di massima era un angolo di
Roma molto tranquillo.
Perché è finita la Dolce Vita? Di chi
è la colpa?
Io allora
avevo 16 anni e quando ne ho avuti 28 anni già mi ero stancato di quel
posto. La Dolce Vita di via Veneto è finita perché nascevano altri posti
nuovi, altri bar, altri cinema, altri locali, come il Piper. C’era il Club 84
dove cantavano Peppino Di Capri, Fred Bongusto e altri. Era un periodo in cui
cambiava il mondo e cambiavano le mode. Piano piano ci stavamo abituando.
E’cambiata anche la città.
In peggio. Io da una vita sto a Roma e tu
sai che è una città piena di buche. Mio papà di diceva con orgoglio: “Mi
raccomando, guarda sempre avanti”. Oggi, oltre a guardare avanti, bisogna
guardare per terra sennò ti ammazzi (risata). Ci sono marciapiedi dissestati,
topi, immondizie … un giorno passi per una via e non c’è più il negozio
dove andavo. Non ci sono investimenti. E’ una vergogna. Non sognavo così la
mia cartolina di Roma, a 72 anni. Roma è una cartolina sbiadita.
Tu hai fotografato e conosciuto molti
personaggi. Due parole di Anita Ekberg.
Era una donna eccezionale. Io la conoscevo
in un modo, qualcun altro in un altro modo. Ognuno ha una spaccatura sua verso i
personaggi. Anita era una donna emozionante, bella. Noi eravamo abituati a donne
basse, more e lei era bionda, alta, formosa. Quando arrivavano queste vichinghe
dall’estero noi impazzivamo. La Ekberg a me piaceva, ma il film “La dolce
vita” che lei ha interpretato con Marcello Mastroianni, è stata la fine della
sua carriera. Non è stata come Claudia Cardinale, Sofia Loren, come Virna Lisi
e altri personaggi che hanno avuto una carriera folgorante. Anita da noi era
conosciuta proprio per il film “La dolce vita”, però era una donna
bellissima, che ti colpiva e tutti ne erano innamorati in quel periodo. Più
avanti è arrivata Claudia Schiffer e tutti erano innamorati di lei. Poi è
arrivata la modella Veruschka, stessa cosa.
Marina Ripa Di Meana?
E’ una delle mie migliori amiche. Mi ha
fatto fare una foto così importante nel 1968, mentre a Roma si buttavano le
bottiglie molotov nelle varie manifestazioni di piazza. Lei passeggiava con una
sua amica, mostrando le sua gambe e la sua amica con la
giarrettiera. Ti dico che è stata una foto emozionante, che ci ha fatto
riflette, che il mondo nonostante tutto, continua.
Rino Barillari con Gina Lollobrigida
Marcello Mastroianni?
Alla grande. L’ho sempre perdonato perché
era un personaggio da rispettare, era un personaggio che ti rispettava, era un
personaggio che se chiedevo una cosa era di parola. A me è capitato una volta
di aver fatto delle foto un po’ particolari, ma non sono mai uscite perché
avevo rispetto verso do lui. Questo perché durante l’anno lui mi faceva fare
qualunque cosa. Io lo rispettavo e lui rispettava me, perché mi conosceva,
sapeva come lavoravo e che tipo di foto facevo. Marcello era una persona umile,
unica, una bella persona e personalmente mi manca.
Audrey Hepburn?
Una donna dolce, una donna che quando
passava , uscivano tutte le commesse dai negozi per guardarla. Il suo profumo,
il fascino, il modo di fare ti
regalava una emozione unica. Dopo il
film “Vacanze romane” era più popolare del Sindaco, del Presidente della
Repubblica. Ho una sequenza di foto di quando lei da dei soldi ad una
mendicante. Era una persona buona.
Anna Magnani l’hai conosciuta?
Si, alla grande. Qualche parolaccia da lei
me la sono beccata. La vado a trovare al cimitero tre volte all’anno. Sta
vicino alla tomba di Alberto Lupo e gli porto un fiorellino perché mi ha fatto
crescere.
Monica Vitti?
Prego Dio affinché guarisca, perché ci
manca tanto. Sta poco bene. Quando lei usciva di casa, ci regalava momenti di
felicità.
Gabriella Ferri?
Una grande cantante. Era amica mia e
spesso la portavo a spasso sulla Vespa che mi aveva regalato Gianni Agnelli per
un servizio che ho fatto. La portavo in giro e mi ricordo che
passando davanti all’Hotel Parco dei Principi, dove alloggiavano i
Beatles, mi confidò che lei era innamorata di Ringo Starr.
Laura Antonelli?
Laura Antonelli non mi ha fatto rispettare
i dieci comandamenti. Stop. Era il mio sogno e il mio incubo.
Marta Marzotto?
Ho ancora a casa alcune scarpe che mi ha
regalato e un anello portafortuna. Era una donna dal cuore d’oro. Confermo che
Guttuso, ogni volta che io le facevo le foto, le voleva subito e lui in cambio
mi regalava delle stampe. Io le prendevo e le portavo alla galleria d’arte
Ca’ D’Oro, mi facevo dare i soldi e così sbarcavo il lunario.
Tornando indietro rifaresti tutto
quello che hai fatto o cambieresti qualcosa della tua vita da paparazzo?
Farei tutto uguale, perché il paese è
sempre uguale. Ai miei tempi ci lamentavamo come adesso. Abbiamo fatto gli anni
’60, gli anni ’70, gli anni’80, gli anni ’90 e siamo oltre il duemila. I
giovani sono quelli che devono cambiare questo paese. Il giovane ha più idee.
Uno all’età mia non rischia più, non si mette più a combattere con la
burocrazia, ma sono i giovani con una mentalità diversa che devono cambiare
qualcosa. Io ho piena fiducia nei giovani. Solo che i giovani che hanno buone
idee partono, vanno in Inghilterra o in America e qui rimangono quelli
che piangono e si lamentano.
Quali sono stati i tuoi ultimi scoop?
Non ci sono gli scoop ormai, perché oggi
con il digitale purtroppo è finito tutto. Oggi il digitale ha portato
all’agonia del paparazzo, perché con un telefonino può fare più di un
paparazzo. Faccio un servizio importante adesso, poi arriva uno con il
telefonino e me lo brucia subito, perché dopo un attimo è on line sui siti o
sui blog. Oggi è tutto cambiato. Se tu vedi la televisione, arrivano i
filmati sia dai Vigili del Fuoco, sia dalla Polizia, sia dai carabinieri,
ecc … filmano i blitz, gli arresti, le perquisizioni. E il paparazzo che fa?
Ad esempio parlando del terremoto … l’abilità
del giornalista, del fotografo, qual’era? Arrivare per primo sul posto e
raccontare i fatti veri con foto. Ora arrivano i filmati in diretta fatti dai
Vigili del Fuoco, immagini eccezionali. Questo è il fallimento del giornalismo.
Ho letto che sei finito al pronto
Soccorso parecchie volte. C’è stata una volta che volevi cambiare lavoro?
No. E’ chiaro che rischi le percosse.
Questo mestiere è così e io ne sono sempre stato
consapevole.