Serena
Gamberoni (cantante lirica) Genova 13.1.2016
Intervista di Gianfranco Gramola
La
cantante di Rovereto racconta la sua avventura nella lirica. Le
virtù di un buon cantante lirico? Prima la voce ma al secondo posto
sicuramente la testa, la serietà con cui ci si mette a servizio della musica.
La paura di andare in scena? Quella non passa mai”
Intervista
Serena Gamberoni è nata a Rovereto l’8
agosto del 1981. Fin da piccola ha sempre amato cantare. “Ricordo in
particolare modo la voglia di entrare nel coro della chiesa dove si poteva
entrare solo dopo gli 8 anni e la “tortura” di andare a messa sui 5/6 anni e
di non poter essere nel coro. Ho contato i giorni fino ai miei 8 anni
continuando a tempestare l’insegnante del coro con la richiesta di poter
entrare il prima possibile. Alla lirica invece mi sono avvicinata durante le ore
di canto corale al conservatorio di Riva del Garda, dove ero allieva di violino.
L’insegnante di ruolo di quell’anno, ero in seconda media, stava preparando
il coro per accompagnare i solisti della classe di canto lirico in alcuni brani
dell’elisir d’amore … è stato amore alla prima nota. Ricordo che di
nascosto andavo nelle aule a cantare la parte di Adina e qualche volta la
improvvisavo durante le lezioni di canto corale. Un giorno in particolare alla
fine di un pezzo d’insieme ho voluto finire con un acuto non previsto.
L’insegnante fermò la lezione, mi prese per mano e mi portò nella classe di
canto lirico nella porta accanto e mi chiese di ripetere l’acuto davanti
all’insegnante di canto lirico che alla fine mi disse: “Ti aspetto tra
qualche anno a studiare canto lirico”. Io la guardai ridendo anche perché
nonostante mi fossi innamorata dell’opera l’ultima cosa che volevo fare
nella vita era diventare cantante d’opera, dicevo: quelli lì che cantano e
non si capisce niente. Mia madre
successivamente mi portò a vedere due opere in Arena, Norma e Butterfly e anche
se Butterly mi colpì molto Norma mi annoiò alquanto, proprio perché non
capivo nulla di quello che cantavano. La mia folgorazione rimase per Elisir, che
fu anche il mio primo spartito e il mio primo cd, e solo anni dopo realizzai
invece il grande amore che era nato in me per quest’arte. Nessuno in famiglia
ascoltava opera, l’unico che cantava qualche Ave Maria ai matrimoni era mio
nonno che era conosciuto per la sua voce alla Claudio Villa, ma la passione che
crebbe in me fu sostanzialmente una scoperta personale”.
Andrea Boccelli ha detto: “La musica è
un balsamo per la vita, una medicina per l'anima e, se se ne fa un uso corretto,
libera tutte le sue qualità terapeutiche”. Per te cos’è la musica?
La grande passione che mi ha legato a
quest’arte è stato il lavoro che bisogna fare su se stessi e sulle sensazioni
che si provano per trovare le giuste posizioni del canto. Io che sono sempre
stata una persone frenetica ho trovato nello studio del canto un momento solo
per me stessa, per fermarmi a capire che cosa succede dentro di me e quindi
cantare mi dà una grande tranquillità e una gioia che non so spiegare. Ci sono
volte in cui sento un fuoco nascere e crescere man mano che canto, spesso mi
trovo alla fine di una frase con la pelle d’oca, oppure mi trovo semplicemente
senza parole (difficilissimo per me) quando muoio con il personaggio che lascio
in palcoscenico. è una sorta di catarsi ogni volta e non potrei pensare alla
mia vita senza il canto.
Quali sono i tuoi miti? Le cantanti
liriche che apprezzi?
Non ho mai avuto miti, ho sempre amato e
cercato di imparare da tutte le cantanti, ascolto indifferentemente tutte le
cantanti che cantano il mio repertorio, sento come fanno una frase, come dicono
una parola e poi tengo la cosa che mi piace di più. Certo il mito della Callas
e quello che mi ha fatto sognare da bambina, ma oggi sarebbe impensabile avere
una carriera di quel genere i tempi sono molto cambiati e preferisco vivere a
contatto con la realtà e con i tempi che mi trovo davanti.
Chi ti fece i primi complimenti?
A dir la verità nel primo periodo tutti
facevano i complimenti alle mie doti ma nessuno mai a me e proprio forse questo
mi ha spinta a studiare il più possibile per mettere a frutto il mio talento
per ricevere dei veri complimenti, che in realtà nemmeno ora mi lusingano più
di tanto perché penso di non essere mai all’altezza della situazione oppure
che posso sempre ancora migliorare. Il mio talento lo scoprirono varie persone
nel senso che il mio insegnante di canto corale scoprì la mia dote, la mia
prima vera insegnante di canto Franca Mattiucci scoprì la mia musicalità e la
voglia che avevo di fare il mio lavoro ma solo dopo anni Alida Ferrarini scoprì
e forgiò quello che sarei diventata, facendomi pochissimi e rarissimi
complimenti nei 9 anni che mi seguì come mia insegnante e vera figura di
riferimento.
Ma i tuoi genitori che futuro sognavano
per te?
I miei genitori non avevano chiaro quello che
volevo fare nella vita, la cantante e la musicista è un lavoro così astratto
in una realtà invece così concreta come è la mentalità trentina, quindi mi
hanno indirizzata verso un classico istituto tecnico, al posto di appoggiare il
mio sogno di liceo musicale, supportandomi comunque nello studio del canto negli
anni che seguirono dopo il diploma superiore, lasciandomi libera di scegliere
modalità e insegnanti in qualsiasi parte d’Italia, dandomi come vincolo solo
un termine di tempo entro il quale avrei dovuto realizzare qualcosa. Il mio papà
era artigiano, lavorava il marmo e l’ha fatto da quando aveva 15 anni, veniva
da una famiglia di marmisti e la mia mamma era prima una segretaria d’azienda
e poi ha lasciato tutto per aiutare mio papà nella sua ditta. Era naturale la
loro preoccupazione per un futuro concreto per la mia situazione lavorativa.
Hai mai pensato ad un nome d’arte?
Non ho mai pensato ad un nome d’arte perché
ho sempre pensato che se avessi cantato bene poco avrebbe importato il mio nome.
Le
tue “arie” preferite?
La lista sarebbe troppo lunga, difficile che
non mi piaccia qualche opera, amo tutto indistintamente anche se le opere che mi
hanno accompagnata nella mia carriera sicuramente hanno un posto speciale nel
mio cuore così come i personaggi che ho interpretato.
Hai mai fatto delle stecche in pubblico?
Per fortuna non è mai successo, sicuramente
qualche incertezza c’è stata ma gli insegnamenti tecnici mi hanno sempre
aiutata a non fare grandi stecche in pubblico magari note meno belle sì, ma non
ricordo una stecca vera e propria nemmeno nei casi in cui ho cantato con
abbassamenti di voce.
Le
virtù di un buon cantante lirico?
Prima la voce sicuramente, ma al secondo
posto sicuramente la testa, la serietà con cui ci si mette a servizio della
musica e il sangue freddo.
La musica basta sentirla o bisogna anche
capirla?
Entrambe le cose, di solito l’istinto porta
a “sentire” la musica, ma poi lavorativamente parlando bisogna mettersi
nelle mani di chi ha scritto la musica e capire perché ha deciso di scriverla
così. Per quanto riguarda il pubblico penso che sia sempre meglio arrivare
preparati ad uno spettacolo di opera leggendo almeno la trama per poi farsi
travolgere dalla bellezza della musica e dalle emozioni che il cantante ci vuol
far arrivare.
C’è voce senza tecnica?
Ci sono bellissime voci senza tecnica che non
fanno carriera e voci poco gradevoli con una tecnica magistrale che fanno
carriere internazionali, quindi la mia risposta è no, non esiste voce senza
tecnica. Penso che se non si ha tecnica prima o poi ci si scontra con la realtà
e la carriera possa finire presto.
Quante ore al giorno dedichi al canto?
(hai un luogo dove fai le prove)
Purtroppo con 3 figli, le ore da dedicare al
mio lavoro sono poche, ma l’opera permea la mia vita praticamente totalmente,
a partire dal mio matrimonio fino all’ultimo pensiero la sera.
Cecilia Bartoli, artista a livello
mondiale, ha detto: “Non è vero che con gli anni si supera la paura di andare
in scena. Quella non passa mai”. E’
così
anche per te?
Si! Ha ragione la paura non passa mai, come
la sensazione di non essere mai abbastanza preparati. Si impara a convivere e a
gestire l’ansia e la paura ma non passa mai come quel friggere nella pancia e
le gambe che tremano prima di entrare in scena.
Prima di entrare in scena hai un rito
scaramantico?
La sera della recita non dico mai che sto
bene quando mi domandano come va? come ti senti? Dico al massimo mi sembra bene
o spero bene vediamo alla fine. Non so perché ma mi sembra che se dico bene e
poi succede qualcosa durante la recita forse si può pensare che quello sia il
massimo che posso fare. Inoltre mi prendo un paio di minuti di silenzio sul
palcoscenico prima di entrare dove non mi va di parlare, cerco di abbassare i
battiti cardiaci e concentrarmi sulla respirazione che ovviamente per via
dell’agitazione risulta affannata e poi via una volta che vado in scena cerco
di dare tutta me stessa.
Il critico che temi di più e quello che
stimi molto?
I critici sono molteplici, poi ora con
l’era di internet chiunque si improvvisa critico di un qualsivoglia blog. I
critici delle grandi testate nazionali sono quelli che tengo più in
considerazione, soprattutto se negli anni trovo che le loro critiche siano fatte
in maniera costruttiva. Non temo la critica fine a se stessa, e se in qualche
critica trovo qualche appunto cerco di fare sempre un esame di coscienza e
capire perché si è arrivati a far notare un particolare difetto e cerco di
lavorare per migliorarlo. Forse la critica che temo di più è quella delle
persone che mi conoscono e che conoscono le mie potenzialità e sanno veramente
quanto ho fatto quella sera come mio marito, il mio agente o il pianista con cui
studio da anni. Stimo molto Carla Moreni del Sole 24 ore oppure Enrico Girardi
del Corriere della Sera perché ho trovato in loro sempre critiche costruttive e
mai distruttive ma non solo per me anche verso i miei colleghi. Odio le persone
che si mettono in cattedra senza capire la reale fatica che si fa a mettersi in
gioco ogni sera sul palcoscenico dimenticando che siamo persone e non automi.
I giovani amano la lirica?
I giovani amano la lirica se hanno la
possibilità di usufruirne. La lirica sembra un’arte di elezione ma troppe
volte ci scordiamo che era la televisione del passato. Era il passatempo
preferito dei nostri nonni, che la trovavano ovunque, in qualsiasi teatro, alla
radio e nella vita comune. Oggi invece si pensa che si una cosa riservata a
pochi, cosa che invece tento di sfatare regolarmente invitando a teatro persone
che non ci sono mai state. Fino ad ora non c’è mai stato nessuno che abbia
detto: non mi piace… anzi spesso al primo spettacolo ne segue a breve un
secondo.
Qual è stata la tua più grande
soddisfazione artistica?
Ne ho avute tante. La più grande ultimamente
è quella di essere stata chiamata all’ultimo da un teatro come la Royal Opera
House di Londra a sostituire una collega indisposta. Sapere che un grande teatro
abbia scelto me e abbia voluto come prima scelta sapere se ero libera io mi ha
molto lusingata. Ma anche cantare al fianco di Placido Domingo in Arena in una
serata a lui dedicata mi ha emozionata molto.
L’ambiente
della lirica è come una grande famiglia o c’è molta rivalità?
Tutte e due… Esistono sia i colleghi con
cui si crea un rapporto molto familiare, sia quelli che vivono in maniera
astiosa e con molta rivalità il posto di lavoro. Io sono più per essere
amichevole e penso che ci sia spazio per tutti anzi sono contenta quando trovo
colleghe brave perché penso che almeno la nostra arte è in mano a persone che
sapranno come far amare il canto lirico al pubblico che le sentirà.
Tu e tuo marito Francesco Meli fate lo
stesso lavoro. Vi scambiate dei consigli, provate, cantate? Avete mai
lavorato insieme?
Sì, studiamo assieme e soprattutto dopo la
morte della mia insegnante è diventata la persona di cui mi fido di più.
Abbiamo lavorato anche tante volte assieme ed è molto bello condividere lo
stesso lavoro oltre che la vita.
Come ti ha conquistata tuo marito?
Essendo semplicemente se stesso.
La critica più cattiva che ti hanno
fatto?
Se me l’hanno fatta non ricordo. Le
critiche cattive fine a se stesse hanno poco conto per me, trovano terreno
fertile solo le critiche sensate che servono a farmi migliorare come artista.
Cos’hai
sacrificato per arrivare al successo?
Forse del tempo ai miei figli, ma saranno
loro a giudicare una volta diventati grandi, per ora come una equilibrista cerco
di tenere il bilanciere esattamente al centro, calibrando sia lavoro che vita
privata.
Hai mai lavorato per beneficenza, per
solidarietà?
Si nel mio piccolo cerco di aiutare il più
possibile perché mi sento molto fortunata ad essere quello che sono e per
quello che ho. Ma di solito non amo mai farne pubblicità.
Hai mai fatto delle scelte di cui poi ti
sei pentita?
Che io ricordi no. Penso che non bisogna mai
pentirsi di quello che si è fatto nella vita. Si diventa quello che si è
proprio grazie anche agli errori.
Se uno dei tuoi figli volesse fare il
cantante, che consigli gli daresti?
Gli chiederei come prima cosa se è sicuro
che lo possa rendere felice e poi lo sosterrei. Ma la stessa cosa varrebbe per
qualsiasi altro lavoro decideranno di fare.
Qual è il tuo sogno artistico? (Un sogno
nel cassetto)
Banale come risposta, ma a questo punto il
Metropolitan di New York. Per il resto sono già molto soddisfatta per quello
che ho ricevuto da questo lavoro fino ad adesso.
Quando non lavori, quali sono i tuoi
hobby?
Farei prima ad elencare quello che non mi
piace…. Amo cucinare, fare dolci, organizzare viaggi, passare del tempo con la
mia famiglia, invitare amici a cena, leggere, imparare nuove lingue e potrei
continuare così ancora per molto….
A chi vorresti dire grazie?
Il primo grazie va a mio marito sicuramente,
senza di lui non avrei né una famiglia né la possibilità di decidere del mio
lavoro in libertà. Un altro grazie importante va alla mia insegnante Alida
Ferrarini che purtroppo non posso più ringraziare personalmente perché è
mancata due anni fa in seguito ad una malattia, ma ogni volta che vado in scena
il mio pensiero va a lei che mi ha insegnato quasi tutto quello che so. Un
grazie sicuramente ai miei genitori che hanno finanziato questa impresa folle ai
tempi, credendo in quello che sarei diventata. I grazie sarebbero ancora molti,
registi, direttori di teatri, insegnanti vari incontrati sul mio cammino, ognuno
di loro mi ha insegnato qualcosa che mi ha portato ad essere quella che sono.
Progetti?
Tanti, ma per scaramanzia finché non sono
confermati non amo renderli noti.
Ora vivi a Genova. Cosa ti manca del tuo
Trentino?
La mia famiglia e il poter andare in giro in
bicicletta. Per il resto amo il mare e ormai Genova è casa mia da tantissimi
anni.
Come ricordi la tua infanzia a Marco di
Rovereto?
Molto tranquilla e semplice. Ecco quel tipo
di vita forse è la cosa che mi manca di più, i giochi per strada,
l’incontrarsi con gli amici in campagna, andare a scuola passando per le vigne
e il fatto che non esistevano né cellulari né orologi. Ad un certo punto
arrivava l’urlo della mamma che serviva a farci tornare a casa.
In Trentino ci sono ambienti (scuole)
idonei che ti avvicinano alla lirica?
Sinceramente non sono la persona giusta per
giudicare, sono troppo anni che non vivo più in Trentino e non ne conosco la
realtà. Il Conservatorio può dare un primo approccio ma ai miei tempi
sicuramente non la preparazione idonea dopo gli anni di studio a stare su un
palcoscenico. Quello è tutt’altra cosa.
Quando vieni a cantare in Trentino?
Ogni volta che mi invitano. Torno a cantare a
casa sempre con piacere, ma purtroppo le occasioni sono molto rare.